«La rivoluzione del Cav? Nessuno la capì»

Quindici anni, sono passati. Eppure lui, Silvio Berlusconi, aveva impiegato solo sei mesi a conquistare l’Italia. Si intitola così, «Come si conquista un Paese. I sei mesi in cui Berlusconi ha cambiato l’Italia», l’ultimo libro di Maria Latella, direttore di «A», un programma di politica e attualità su SkyTg24, nel 1994 cronista della «discesa in campo» per il Corriere della Sera.
Direttore, e dire che all’inizio non ci credeva nessuno.
«A seguire la prima campagna elettorale di Berlusconi, ma anche An che ancora non era An e la calata su Roma della Lega, i giornali inviarono i cronisti più giovani e meno esperti delle cose di palazzo».
Lei si occupava di società e costumi.
«Un collega fu scelto perché conosceva bene la Sardegna».
Scrive: «I giornalisti abituati ad analizzare l’Italia dai divani di Montecitorio hanno visto passare e sparire più di un grande imprenditore protetto dal potente di turno. Quasi tutti pensano che Berlusconi sia destinato alla medesima sorte».
«Per anni abbiamo guardato il dito e non la Luna. Abbiamo scritto, lo dico soprattutto a me stessa, centinaia di articoli inutili, trastullandoci su chi sarà il delfino, chi il nuovo coordinatore. Avremmo dovuto domandarci perché l’Italia continuava a credere in Berlusconi».
Si è data una risposta?
«Bisogna tornare al 6 febbraio 1994, la prima convention».
Un secolo fa.
«Le frasi di allora sono le stesse di oggi, identiche».
Allora nasceva Forza Italia, oggi c’è il Pdl.
«La cosa disperante è che per arrivare al bipolarismo abbiamo impiegato 15 anni».
Perché secondo lei?
«Perché l’Italia è un Paese privo di energie, in cui le decisioni fanno paura e c’è sempre qualcuno di scontento. Soffriamo di ipermediazione».
È stato il Pd a dare il «la» al bipolarismo, ma ora sembra rimpiangere le vecchie alleanze.
«Colpa di micro-lobby, due o tre soggetti che vedono nella sparizione del loro diritto di veto una tragedia per la difesa dei loro interessi personali».
6 febbraio 1994, Fiera di Roma.
«Sul palco c’è Silvio Berlusconi che pare Frank Sinatra: si sposta da una parte all’altra col microfono in una mano e l’altra mano in tasca, poi presenta i candidati, uno per uno».
Sono Tizio, imprenditore, sono Caia, libera professionista...
«Qualcosa di molto simile a quello che abbiamo visto l’anno scorso con Barack Obama».
Fu la prima convention americana di un partito italiano.
«E il metodo Ikea applicato alla politica».
Forza Italia come la libreria Billy.
«Se non segui le istruzioni la monti sghemba. I candidati come viti e rotelline, con tanto di kit apposito, persino il look doveva rispettare certi canoni».
Si parlò di partito di plastica.
«Invece fu come se un prodotto nuovo si imponesse sul mercato spodestando la Coca Cola e la Pepsi. Stupefacente».
Potenza del marketing?
«E del politicamente scorrettissimo: Berlusconi fa battute da every man. Poi i suoi magari si scusano, ma intanto alle persone comuni è arrivato il messaggio: “Sono uno di voi”».
Tipo il cucù ad Angela Merkel?
«Lo fece, mi disse, per sdrammatizzare una posizione rocciosa della cancelliera tedesca sulle banche».
Berlusconi ieri.
«Era più naif. Lasciando palazzo Chigi quando cadde il governo nel ’95 disse a noi cronisti: “Visto che qualcosa di politica l’ho imparata anche io?”, come un ragazzo che cerca il plauso dei più esperti».
Berlusconi oggi.
«Cito Mario Vargas Llosa, che sul Corriere lo ha definito “caudillo democratico”. Democratico perché ha dimostrato di riconoscere che quando i governi vengono battuti se ne vanno».
Scampato golpe, lo dica a Di Pietro.
«Caudillo, perché è capace di captare in anticipo i cambiamenti del Paese».
Per scherzarci su: ha estromesso i comunisti dal Parlamento e ha portato i fascisti in un grande partito di centrodestra.
«Chi fonda il Pdl oggi deve porsi il problema di come farlo sopravvivere dopo di lui».
Eddai allora facciamolo il gioco del successore. Lei ha fatto col premier una lunga conversazione che apre il libro.
«Mi ha detto: “Angelino Alfano è bra-vis-si-mo. Potrebbe essere lui il mio successore”».
Angelino delfino.
«E su Mara Carfagna: “Non ne posso più di vedere in tv sempre le solite nostre facce. Non capisco perché una giovane ministra, una in gamba come la Carfagna, non sia considerata la perfetta portavoce del partito”».
Angelino leader, Mara portavoce.


«Per ora ai cronisti resta la fatica di seguire Berlusconi».
Fatica?
«Una volta si raccoglievano notizie stando comodamente seduti a Montecitorio. Con lui serve resistenza fisica, fa mille cose e stargli dietro è un disastro».

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