Esiste un collegamento tra Bin Laden e la crisi finanziaria dello scorso settembre? Apparentemente no. O forse sì. Loretta Napoleoni, che è al contempo uneconomista e uno dei massimi esperti europei di terrorismo, ne è convinta. Nel suo ultimo saggio La morsa (Chiarelettere, pagg. 186, euro 13,60) dimostra come proprio gli Stati Uniti abbiano posto le premesse della crisi finanziaria, impegnandosi in due guerre, in Irak e in Afghanistan, costosissime e interminabili che hanno fatto esplodere il deficit pubblico e provocato una lunga serie di errori. La Federal Reserve che abbassa i tassi di interesse, incoraggiando la speculazione e dunque una doppia bolla: quella del mercato immobiliare e quella della cartolarizzazione, con la diffusione dei debiti tossici. Controlli inesistenti a Wall Street, ma esageratamente severi negli aeroporti, mentre nessuno a Washington per anni si è preoccupato di seguire e di neutralizzare la pista del denaro, che con sconcertante facilità ha continuato ad alimentare lestremismo islamico.
Loretta Napoleoni, conosciuta e stimata forse più nel mondo anglosassone che in Italia, dimostra, anche in questo saggio, di essere uno spirito libero, virtù rara in unepoca segnata dal conformismo delle menti. Non sempre i suoi giudizi sono condivisibili, a esempio quando paragona Bush a Saladino o si avventura cercando analogie tra le crociate cristiane e lattuale controcrociata islamica che prende le sembianze della jihad. Ma ha il pregio del coraggio e delloriginalità, sfuggendo a ogni catalogazione politica.
La Napoleoni invita a non illudersi sulle capacità taumaturgiche di Barack Obama, spiega agli europei che esiste una finanza islamica lecita e persino ammirevole, in quanto basata sulla «condivisione del rischio tra la banca e il cliente» e sulla convinzione che «il denaro non possa generare denaro, ma debba essere uno strumento produttivo» e dunque concreto, tangibile, collegato alleconomia reale; esattamente il contrario del capitalismo etereo e irresponsabile che ha imperato a Wall Street negli ultimi anni, infettando il mondo con il trasferimento e la vendita del rischio. È favorevole a un ruolo più forte dello Stato, ma denuncia i rischi del protezionismo e invita a non seppellire il liberismo. Da La morsa emerge la convinzione che il libero mercato e il libero scambio continuino a essere insostituibili. Il problema è luso che certe élite ne hanno fatto dopo il crollo dellUrss. Lautrice è implacabile nel denunciare lingordigia della «casta dei banchieri» e linsostenibilità di un modello basato sul debito. «Se Adam Smith oggi fosse vivo - scrive - considererebbe la Cina una nazione più ricca dellAmerica, perché in Cina si produce mentre in America si consuma».
Ritiene che da questa crisi si uscirà veramente solo trovando il coraggio di spezzare le logiche perverse e devastanti del sistema finanziario, «buttando la zavorra accumulata in due decenni». E dunque addio allingegneria finanziaria, ai derivati, a Borse basate sullo scambio di carta senza controvalore reale. Invoca una rifondazione capitalista. Che salutare provocazione...
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