Cultura e Spettacoli

«La rivoluzione è sempre figlia del terrorismo»

Parla lo storico francese François Hinard. «Nell’antica Roma il regime usò, con Cinna e i triumviri, la violenza per governare. Ma nessun paragone con i nostri tempi»

«Una rivoluzione può accadere senza che il popolo intero si trovi, per un periodo più o meno lungo, “terrorizzato” al punto da arrivare ad accettare un regime, qualunque sia, che gli garantisca la sicurezza della vita e dei beni?». La risposta dell’antichista François Hinard, rettore della Sorbona di Parigi, è «no». Ospite d’onore di un convegno sul terrorismo nell’età antica, spiegherà che il terrore, nella Roma antica, non era altro che un «metodo di governo», la premessa di ogni rivoluzione politica.
Professor Hinard, si può parlare di terrorismo nella Roma antica?
«La parola “terrorismo” non esisteva. E se si intende per terrorismo atti di violenza contro la società civile, destinati a ottenere una trasformazione dello Stato o a portare questo Stato a un negoziato, allora, il terrorismo non è neppure esistito a Roma. Neanche in occasione delle rivolte di schiavi: certamente le “truppe” di Sertorius hanno terrorizzato le popolazioni, ma le motivazioni di questi schiavi non erano sovversive: la rivendicazione di certi diritti, il ritorno nella propria patria. Occorrerebbe piuttosto porsi degli interrogativi sulle ragioni dell’assenza evidente di “terrorismo”, nel senso contemporaneo del termine, nella Roma antica».
Appunto, perché?
«Vedo due motivazioni principali, di natura diversa e probabilmente complementari. Primo, le società alle quali ci interessiamo avevano un funzionamento molto diverso dalle nostre, nel senso che il controllo sociale era straordinariamente forte. L’esempio più illuminante da questo punto di vista è il fatto che per tutto il periodo repubblicano e fino all’inizio dell’impero, non c’è stato bisogno di “polizia” a Roma. Ciò vuol dire che il tessuto sociale era di una tale densità che era impensabile che manovre sovversive fossero tessute in segreto. Secondo, anche le molte cospirazioni sovversive erano rapidamente represse e quindi non hanno quasi mai lasciato tracce nella storia. Anche la cospirazione di Catilina è fallita in questo modo».
Lei parla però di «regimi del terrore» nell’età antica. A che cosa si riferisce?
«Come “regime del terrore” intendo il terrore usato come metodo di governo. I regimi di questo tipo erano la messa in atto, nel quadro della conquista e dell’esercizio del potere, di metodi sistematici di terrore destinati sia a monopolizzare durevolmente questo potere, sia a forzare il popolo ad accettare qualsiasi forma nuova di regime purché portasse alla fine del terrore. E secondo me ci sono stati soltanto due periodi durante i quali la Roma repubblicana ha conosciuto regimi di questo tipo: quello di Cinna (dall’87 all’82 a.C.) e il secondo triumvirato (43-31 a.C.). Contrariamente a ciò che si pensa di solito, la dittatura di Silla non rientra in questa categoria, perché una buona parte del popolo romano aveva appoggiato l’epurazione per vendicarsi degli anni di terrore che aveva appena conosciuto».
C’è qualche analogia, nei metodi, con i «regimi del terrore» contemporanei?
«Non ne vedo molte. Perché spesso, nel terrore antico, si trattava di sfruttare fenomeni non controllabili (epidemie, incendi, carestie...), metterli in scena, per così dire, per utilizzarli nel quadro di una pressione che terrorizza».
Quali obiettivi avevano i «terroristi»?
«Il potere, la rivoluzione. Non dimentichiamo che sir Ronald Syme ha giustamente parlato (già nel 1939) di “Rivoluzione romana” per il passaggio dalla repubblica all’impero, e che se ci possono essere regimi di terrore senza rivoluzione, non ci sono rivoluzioni senza regime di terrore».


Quali erano le condizioni sociali e politiche che favorivano l’emergere del terrore?
«Parlando soltanto di “regimi del terrore”, è certo che il malfunzionamento delle istituzioni repubblicane e gli appetiti di potere di alcuni individui dell’aristocrazia dominante hanno creato le condizioni favorevoli al loro emergere».

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