Roberta Pinotti e l’attacco a Cgil, «assassini» e alleati

(...) Quest’anno, poi, parlando del caso Cesare Battisti, ho avuto l’opportunità di poter arginare gli interventi che davano tutta la colpa della mancata estradizione del terrorista alla maggioranza di centrodestra.
Come vi racconta molto bene Daniele Roncagliolo, c’è stato chi ha spiegato che la perdita di credibilità internazionale dell’Italia è stata decisiva e chi, dal pubblico, ha chiosato seriamente che il momento clou per la decisione della mancata estradizione è stata la manifestazione di un gruppo di giovani ex di An che hanno lanciato arance alle giocatrici brasiliane del campionato del mondo di beach-volley in Italia: «Li conosciamo, sono i soliti fascisti. E all’estero lo sdegno contro quelle arance, contro le dichiarazioni dei Gasparri e dei La Russa, è stato decisivo».
Ecco - anche solo per contestare questa roba, anche solo per dire che c’è un’altra storia, che è quella delle protezioni francesi, dalla dottrina Mitterrand agli intellettuali da rive gauche e da gauche caviar - era giustissimo esserci. Era giustissimo dire che non ci stavo. E, naturalmente, sul palco dei dibattiti della Festa Pd, l’ho potuto fare liberamente e l’ho fatto.
Però, al di là in un certo folclore, il dibattito sul libro del magistrato Giuliano Turone, che ha affrontato laicamente il caso, è servito anche ad altro. Ad esempio, a capirne un po’ di più sulle candidature in Brasile, grazie alla testimonianza dell’ex sottosegretario nel secondo governo Prodi Donato Di Santo, veramente abbondante e ricca. Ma anche a capirne un po’ di più sulle candidature a Genova.
Perchè, probabilmente per la prima volta, anche a una festa dell’Unità (pardon, Democratica) è emerso il profilo riformista che potrebbe essere l’arma decisiva con cui Roberta Pinotti sfida Marta Vincenzi.
Da un lato, «la sindaco», come si firma lei anche sui manifesti delle ordinanze, con il suo armamentario di dichiarazioni forti, di esternazioni hard e di governo soft. Soft soprattutto nel modo di affrontare i veri problemi dei cittadini. Marta con la sua carta vetrata dialettica, la sua capacità di fiondarsi in problemi assolutamente evitabili, un certo amore per la demagogia, l’appoggio dell’Italia dei Valori, la non contrarietà della sinistra radicale, l’asse con Pisapia e Fassino e, soprattutto, il sostegno dei suoi assessori e della vecchia e vecchissima guardia degli ex comunisti: da Margini a Benvenuti.
Dall’altro, la sfidante, con il suo moderatismo aperto al centro indossato come uno dei suoi leggendari completini color pastello. E, quindi, l’intervista all’ottimo Marcello Zinola del Secolo XIX in cui rompe con la Cgil sulla necessità di proclamare lo sciopero sulla manovra. E, quindi, la capacità e la nettezza di chiamare «assassino» un assassino, e dei più squallidi, quale è Battisti. E, quindi, anche la risposta a una mia domanda sull’incoerenza di stare in una coalizione dove ci sono esponenti della sinistra radicale che difendono Battisti e sulla necessità di rompere con loro: «Credo che la verità non possa essere piegata a interessi politici, Battisti è indifendibile».


Insomma, è chiaro il profilo con cui Roberta Pinotti si presenterà alle primarie, sperando di sfondare al centro.
La scommessa, poi, sarà di andare oltre le parole. Non basta dirsi riformisti per esserlo davvero. Ma la attendiamo alla prova.

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