Politica

Robledo cacciato da Milano, il Csm chiude così la guerra tra le toghe

È il procuratore aggiunto l'unico a pagare per lo scontro con Bruti Liberati. Ma le sue accuse sulla gestione politica delle inchieste avevano trovato più di una conferma

Robledo cacciato da Milano, il Csm chiude così la guerra tra le toghe

Kappaò. La faida durata quasi un anno all'interno della Procura della Repubblica di Milano si chiude - almeno per ora - con una decisione del Consiglio superiore della Magistratura che segna la vittoria piena di Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo, esponente storico di Magistratura democratica, e con la sconfitta pesante, e per alcuni aspetti drammatica, del suo principale oppositore. Alfredo Robledo, procuratore aggiunto, che nel marzo scorso sollevò con il suo esposto il tema delle inchieste pilotate da Bruti secondo criteri politici, da oggi non è più in servizio a Milano. La sezione disciplinare del Csm ha disposto con effetto immediato la sua rimozione dall'incarico per incompatibilità ambientale. E ancora più pesante è la decisione del Csm di impedire a Robledo di continuare a fare il pubblico ministero: il Csm ha accolto la richiesta - che pure era stata avanzata dalla procura generale della Cassazione - di spedirlo a fare il giudice. Andrà a Torino. Per Robledo è un esito catastrofico dello scontro che aveva scelto di aprire, e che aveva spaccato in due la magistratura non solo milanese.
A lungo, nei mesi scorsi, era sembrato che il Csm fosse orientato a chiudere tutto con un pareggio, lasciando in qualche modo sia Bruti che Robledo al loro posto, o spostandoli entrambi (come aveva proposto Paola Balducci, consigliere in quota Sel). Invece in extremis su Robledo è piovuta una tegola che ha spostato l'asse: le intercettazioni delle sue telefonate con Domenico Aiello, avvocato della Lega Nord, in cui - nel pieno dell'inchiesta sui fondi del Carroccio - Robledo sembrava passare notizie e suggerimenti al legale di fiducia del partito di Bossi. Ma sono anche gli equilibri interni al Csm a essere cambiati nella fase finale della vicenda, spostando gli orientamenti di alcuni consiglieri e facendo prevalere il «partito» di chi premeva per salvare Bruti. Il procuratore rimarrà al suo posto, fino al prossimo dicembre quando andrà in pensione senza l'onta di vedere il suo curriculum macchiato da un provvedimento disciplinare. Robledo invece deve fare le valigie, in attesa che il Csm prenda una decisione definitiva. Ma l'esito della vicenda appare a questo punto quasi scontato.
Le telefonate con Aiello sono state insomma l'inciampo cruciale per Robledo, che ha mandato all'aria una operazione in cui - insieme a rivalità e ambizioni personali - pesavano argomenti di grande rilievo generale: ovvero il potere dei procuratori della Repubblica, la loro possibilità di gestire il loro ruolo in autonomia, affidando singole inchieste e interi settori di indagine solo a magistrati considerati affidabili. Bruti in questi mesi ha rivendicato con forza il proprio diritto di gestire l'ufficio in modo assolutamente gerarchico, ed è arrivato ad autoassegnarsi la guida di tutte le indagini su Expo e dell'intero pool anticorruzione. Ma nel corso dello scontro le tesi di Robledo hanno trovato più di un appoggio. Lo stesso consiglio giudiziario di Milano - la «filiale» locale del Csm - aveva avuto modo di criticare la gestione Bruti. Il procuratore è stato accusato di avere assegnato tutte le inchieste più delicate - da Expo a Ruby alla Sea - scavalcando le competenze dei vari dipartimenti, in modo da garantirsi il pieno controllo delle indagini. Il sistema era noto da tempo, e l'esposto di Robledo aveva avuto l'effetto di scoperchiarlo. Ma ora, con la sconfitta di Robledo, il coperchio torna al suo posto.
Su Bruti rimane un'ombra di cui potrà difficilmente liberarsi: l'avere dimenticato in una cassaforte un fascicolo di indagine quello sulla privatizzazione della Sea, che poteva in astratto lambire la giunta rossa di Milano. Bruti ha ammesso questa dimenticanza e per questo è lui stesso sotto procedimento disciplinare.

Ma è possibile a questo punto che il procedimento verrà tirato così in lungo da arrivare alla fine dell'anno, quando il procuratore lascerà l'incarico per raggiunti limiti di età.

Commenti