Rodriguez, cade il mito del baseball (e si fa male)

Il re del baseball ammette di essersi dopato per il record dei fuoricampo. E l’America non lo perdona Obama: "Una notizia deprimente che macchia un’era di questo sport". È l’ultimo dei grandi sulla lista nera

Rodriguez, cade il mito del baseball (e si fa male)

Mai nessuno potrà demolire il mito di re Artù, che non era uno sportivo ma incarna l’idea del mito dello sport: così fantastico da non essere palpabile. Quanti hanno provato ad incarnare il mito di un re Mida, quello che trasformava in oro tutto quanto toccava, magari dimenticando com’è finita la storia? Caccia all’oro e alla gloria sono droghe ad alto potenziale. Ti sembra di salire sul piedestallo, ma un giorno ti arriva lo sgambetto. Michael Phelps che fuma marijuana è un mito che traballa, ma forse è troppo giovane per essere già mito. Alex Rodriguez, il giocatore più pagato al mondo del baseball americano, è un mito che crolla, dopo aver ammesso di aver fatto uso di sostanze stupefacenti nel 2003.

Niente di nuovo nel mondo dello sport: il doping distrugge tutto, non solo il fisico. Ma ogni volta prende lo sconforto: il campione sta al di sopra del bene, spesso non riesce a stare al di sopra del male. C’è rimasto con due palmi di naso anche Barack Obama, che tifa Chicago White Sox, ma ama soprattutto il basket. Rodriguez, che ha 33 anni e oggi gioca per New York, ai tempi del fattaccio giocava nei Texas Rangers, era stato un re del gossip per il suo flirt con Madonna, ma ha tirato una palla in testa pure al presidente americano. Come? Anche lui. S’è detto Obama, che ben conosce il lungo elenco di grandi del baseball finiti nel frullatore del doping. «Una notizia deprimente che corona una cascata di cose deprimenti nel baseball. Credo che macchi un’era di questo sport».

Peccato, ha soggiunto, perchè ci sono molti che giocano pulito. Vero, ma troppi grandi nomi che hanno combinato guai, a caccia di un mito e di un’eterna gioventù che poteva fruttare dollari da re Mida: Barry Bonds, nella storia per aver battuto il record di ogni tempo nei fuoricampo, si è infilato nello scandalo Balco, una delle più spudorate fabbriche di droga dell’ultimo decennio. Roger Clemens è stato beccato poco prima dei Giochi di Pechino. Pete Rose, bandiera dei Cincinnati Reds, scommetteva. Sammy Sosa, un recordman delle battute fuoricampo, venne smascherato dalla sua mazza: spezzata mentre colpiva la palla. Peccato che l’anima fosse di sughero, per colpire più forte, e il regolamento non lo permette.

Il mito è soltanto l’anticamera della razionalità. Molto più spesso diventa l’anticamera della voracità. Ayrton Senna rimarrà un mito e nessuno mai potrà intaccarlo, così come Gilles Villeneuve oppure Fausto Coppi. La morte crea l’immagine intoccabile, la vita spesso la smonta. Valentino Rossi è un mito andato a sbattere contro il muro del fisco. Marion Jones è finita in galera per aver voluto correre più forte e senza limiti. Ben Johnson ha ingannato tutti per poco, ma era già arrivato a record del mondo e medaglie d’oro olimpiche. Mike Tyson poteva essere il mito della forza crudele, del pugno che distrugge, se avesse saputo imbrigliare gli istinti animaleschi, l’avidità di vivere tra ricchezza e depravazione. Oggi è diventato un mito, al contrario, perchè ha morsicato l’orecchio di Holyfield. E non per la serie di ko che ne fecero un campione dell’età moderna. Rocky Marciano è rimasto il mito degli imbattuti, perchè si è fermato in tempo sul ring. E nella vita non ha avuto abbastanza tempo. Le cadute quasi sempre sono fragorose. Al di là dei meriti. Per qualcuno è stato difficile rialzarsi anche nella vita.

Ha lasciato vuoto, dentro l’animo di qualunque tifoso, la storia raccapricciante di Marco Pantani e della sua autodistruzione. A quel punto spuntano le domande vagamente etiche: è giusto considerare mito Pantani? Oppure un altro devastatore di se stesso come è stato Maradona? Pelè che resta sul piedistallo, nonostante si sia trasformato in un juke box di parole, tempo fa diede una risposta. «Maradona, con quello che ha combinato, dovrebbe restituire quanto ha vinto». Talvolta si confonde il mito con l’esempio. Ed allora quasi tutti ne escono sconfitti. Bjorn Borg ha accartocciato la sua immagine sportiva di robot senza tremori, quando ha cominciato a vivere. I miti possono essere plastificati e pianificati. Ed è il più grande imbroglio. Spesso sono così umani da non reggere la parte. Boris Onishenko, russo due volte argento nel pentathlon, ai giochi di Montreal perse la faccia e molto di più. Per vincere nella scherma, con la mano protetta dalla conchiglia, collegò alcuni fili alla punta dell’arma per far accendere la lampadina al tocco dell’avversario. Smascherato, venne espulso dai Giochi e dalla polizia di cui faceva parte. E forse finì i suoi giorni in Siberia.

Bisognerebbe saper scegliere

quando si usa un termine così grande, difficilmente imbrigliabile dalla fantasia. Un mito non prende scorciatoie. Piuttosto finisce contro un muro. E allora muore e vive, appunto perchè è mito. Gli altri sono imitazioni.

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