A Roma l’estrema sinistra sfila contro Prodi e Bertinotti

Bernocchi (Cobas): «Vogliamo il ritiro immediato da Irak e Afghanistan». Rizzo (Pdci): «Per coerenza Fausto doveva essere qui, non sul palco»

Antonio Signorini

da Roma

Un bandierone della pace lungo dieci metri, contro un piccolo arcobaleno appuntato al bavero della giacca. E non è solo una questione di misure. La distanza tra il presidente della Camera Fausto Bertinotti e il «suo» popolo dei movimenti ieri si è sentita. E non solo perché il primo stava assistendo alla parata per la Festa della Repubblica e i secondi manifestavano poco lontano in un tripudio di bandiere tra il rosso e il multicolore e striscioni che chiedevano il «disarmo».
L’attenuante del nuovo ruolo istituzionale non è bastata a evitargli una pioggia di critiche da colleghi di coalizione. Nemmeno le dichiarazioni di tono antimilitarista dell’ex leader Prc hanno smorzato l’impressione che la «controparata» di Roma sia stata soprattutto una manifestazione contro di lui e, più in generale, contro quel pezzo di sinistra che si è trovato sul palco di via dei Fori imperiali.
Anzi, la manifestazione romana per «smilitarizzare» il due giugno - circa 300-350 persone che hanno sfilato da Castel Sant’Angelo a largo Argentina - quest’anno ha preso di mira proprio l’esecutivo di centrosinistra non solo pretendendo il pagamento della cambiale sull’Irak (il ritiro immediato delle truppe italiane), ma anche allargando le rivendicazioni all’Afghanistan. «Vogliamo chiedere il ritiro di tutte le truppe italiane sia dall’Irak sia dall’Afghanistan senza alcun tipo di mediazione», ha spiegato Piero Bernocchi, leader dei Cobas.
Chi si è divertito di più al corteo sono sicuramente i Comunisti italiani che, liberi da vincoli, hanno avuto buon gioco ad attaccare l’ex leader del partito cugino e concorrente: «La contraddizione? È solo la sua», ha attaccato Marco Rizzo commentando la presenza di Bertinotti alla parata militare. Lui, ha aggiunto l’europarlamentare del Pdci, «non era legato ad alcun obbligo istituzionale e in ogni caso a prevalere dovrebbe essere un obbligo di coerenza politica: non si può essere contro la guerra per tutta la vita e poi salire sul palco delle autorità per la sfilata del 2 giugno. Abbiamo aspettato fino all’ultimo che ci ripensasse, ma non è stato così».
Un po’ più diplomatico Paolo Cento, anche lui alla controparata. Il sottosegretario all’Economia ha detto che l’antimilitarismo di Bertinotti non è in discussione però ha promesso che quella di quest’anno «sarà l’ultima parata militare a celebrazione della Festa della Repubblica».
Senza pietà Marco Ferrando, esponente trotzkista uscito recentemente da Rifondazione comunista e in procinto di fondare il suo Partito comunista dei lavoratori. «Bertinotti ormai è dall’altra parte della barricata - ha affermato Ferrando - coerente con la sua ricollocazione nel governo, ma incoerente quando dice che con il corpo è ai Fori Imperiali e con il cuore con i movimenti. Il ritiro sbandierato dal governo è una patacca, perché quello dall’Irak somiglia a quello concordato da Berlusconi con gli Usa mentre in Afghanistan si sta già incrementando la nostra presenza militare».
La difesa del presidente della Camera è toccata ai tanti esponenti del Prc presenti alla manifestazione dei movimenti. Secco il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore: «Trovo stucchevoli queste dichiarazioni su Bertinotti, lui deve rappresentare le istituzioni, il partito è un’altra cosa».
Anche al leader dei disobbedienti napoletani Francesco Caruso (i centri sociali non hanno partecipato alla manifestazione di Roma) è toccata una mezza difesa d’ufficio di Bertinotti. Quello della sua partecipazione alla parata, ha spiegato, «è un falso problema».

Un atto di cortesia, forse dovuto al fatto che Caruso è deputato eletto nelle liste di Rifondazione comunista. Ma questo non gli ha impedito di rilasciare una battuta delle sue: «Bertinotti ha fatto come meglio credeva. Certo, io al suo posto avrei disobbedito, per deformazione professionale...».

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