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Roma, una meraviglia che non finisce mai

Laura Gigliotti

«Roma Perenne», il bel volume di Pier Andrea De Rosa e Paolo Emilio Trastulli, edito da Studio Ottocento, è un itinerario per immagini, un vagabondaggio nel tessuto urbanistico, storico e sociologico della città dagli anni Trenta del ’700 agli inizi dell’800 con qualche significativo sconfinamento nel ’900, accompagnato da annotazione a margine di poeti, scrittori e turisti eccellenti. Un libro d’arte su Roma da ammirare ma anche da leggere seguendo il filo di un discorso letterario mai interrotto, sulla scia di Stendhal, Gogol, Dickens.
Non un viaggio nostalgico alla maniera di Gregorovius che condannava senza appello le trasformazioni della città capitale, o di Ludwig di Baviera che si faceva dipingere Roma vista dalla torretta di Villa Malta per poterla contemplare una volta tornato a Monaco, ma piuttosto un archivio di immagini e di documenti a futura memoria per chi ricorda com’era e per chi ignora le stratificazioni del tempo e della storia.
Ad apertura i quattro grandi dipinti conservati alla Neue Pinakotek di Monaco, che il sovrano bavarese commissionò al paesaggista Johann Christian Reinhart. Innamorato di Roma dove soggiornò spesso e a lungo (nel ’27 aveva acquistato Villa Malta), Ludwig di Baviera credeva che Roma tentando di diventare una città moderna riuscisse solo a diventare banale. «La poesia è scomparsa ed è rimasta la prosa», lamentava nel 1867, poco prima di morire. Il tracciato fra le bellezze di Roma non è casuale, ma ancorato alla storia. Ci si muove sulle orme dei viaggiatori del grand tour, che entravano in città dal quadrante Nord, dalla via Cassia, dalla via Flaminia, da Ponte Mollo. Una città piuttosto angusta, chiusa dal fiume e circondata dai colli. Al di là dalla cerchia delle Mura Aureliane, confini a San Giovanni e Terme di Caracalla, c’era solo la campagna a perdita d’occhio, il deserto della «mal’aria» e dei briganti.
Il percorso si snoda da via Capo le Case, dove nel ’500 terminava l’abitato, in cui ebbe studio Corot, a piazza Barberini (la «Barberina» cara a Gogol), fino all’Acqua Acetosa, allora lontanissima dalla città e meta privilegiata degli artisti. Fra questi estremi sono compresi tutti i luoghi notevoli della città, le sue tradizioni, i suoi riti religiosi e profani, il suo ineguagliabile palcoscenico di strada. Il carnevale, la corsa dei barberi e la festa dei moccoletti in via del Corso, le cerimonie della Settimana santa, le ottobrate a Testaccio, la girandola di Castello, la benedizioni degli animali a Sant’Antonio Abate all’Esquilino.
Tante le testimonianze sulla trasformazione della città. Gaspar van Wittel e Ippolito Caffi dipingono Trinità dei Monti prima del ’700, senza la scenografica scalinata di De Sanctis. restituendoci «tutta la sovrana dolcezza di Roma», come scrive D’Annunzio ne «Il piacere». La città si rinnova sacrificando vie e case per la costruzione dei muraglioni, che liberano il ghetto e il centro dalle periodiche piene del Tevere, il Porto di Ripetta nel 1902, la Torre di Paolo III per far posto al Vittoriano, caratteristici di Roma erano i Caffè. L’Indicatore Romano nel 1855 ne contava 75, più 88 osterie, su una popolazione di 170 mila abitanti. Dal Caffè Nuovo di Palazzo Ruspoli, al settecentesco Caffè del Veneziano a piazza Sciarra, al Caffè Greco di via Condotti, l’unico Caffè storico rimasto, ritrovo di artisti romani e stranieri, al Caffè degli Inglesi a piazza di Spagna, dove Winkelman esponeva le sue teorie estetiche, al novecentesco Caffè Aragno di via del Corso.
Molte le sorprese documentate nei dipinti.

Il varo della pirodraga realizzata nel 1842 negli arsenali pontifici di Ripa Grande, il metafisico studio di Canova a via del Corso, il modernissimo interno dei Magazzini Bocconi inaugurati nel 1887 e ribattezzati da D’Annunzio «La Rinascente», il progetto per la costruzione di uno stabilimento balneare sulla riva destra del Tevere di fronte a Ripetta.
«Roma Perenne», di P.A. De Rosa e P.E. Trastulli, pagine 254, Edizioni Studio Ottocento.

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