Roma laureata con lode, Lazio promossa ma con molti crediti didattici, da recuperare in estate. Lanno scolastico delle due squadre romane è stato questo: il secchione (senza pupa), a un passo dallessere il primo della classe, inevitabilmente quello viziato e ricco di famiglia; e quello che si barcamena, che evita la bocciatura studiando negli ultimi due mesi. Trentaquattro i punti di differenza, due soli in meno di quei 36 del 2008 che sono record per i campionati a tre punti. È come se le squadre romane avessero giocato due campionati differenti. Solo tre volte le loro strade si sono incontrate, e sono state scintille: nei due derby, vinti dalla Roma senza particolari meriti, va detto; e quando la Lazio si è inchinata allInter, lo scorso 2 maggio, con il placet entusiasta dei suoi tifosi (tifosi?) accendendo polemiche ancora non sopite.
Per il resto, la scena è quasi tutta della Roma. Che ha compiuto un prodigio sportivo che dovrebbe inorgoglire tutto il mondo calcistico italiano, impegnato piuttosto a celebrare, invidiare, odiare dellodio (sportivo, sia chiaro) che si riserva ai prepotenti lInter. «The winner tekes it all», il vincitore prende tutto, cantavano anni fa gli Abba, e va proprio così. Due punti crudeli. Scegliete: il rigore sbagliato da Pizarro a Livorno? Quello dato quasi a tempo scaduto al Napoli? La svagatezza che costò la rimonta a tempo scaduto del Cagliari? Lincapacità di chiudere la pratica nel primo tempo contro la Samp. Inezie che significano per la Roma la differenza tra il tutto e il niente: «zeru tituli», niente gloria se non quella municipale, uno strapuntino nellalmanacco, unattesa di chissà quanti anni (speriamo pochi, speriamo mesi) per tornare a sognare.
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