Cronaca locale

Appelli ignorati e test in ritardo: così il virus è esploso tra i disabili a Campagnano

È polemica a Campagnano, Comune blindato dopo la scoperta di un cluster nel centro per i disabili. L'amministrazione locale denuncia: "La prima segnalazione alla Asl è stata fatta il primo di aprile, ma i tamponi sono arrivati solo il 9"

Appelli ignorati e test in ritardo: così il virus è esploso tra i disabili a Campagnano

Il suo ingresso nella lista delle "zone rosse" del Lazio risale allo scorso sabato. È Campagnano, comune a 30 chilometri dalla Capitale, l'ultimo sorvegliato speciale della regione. Una decisione, quella di blindare il paese, arrivata a sette giorni di distanza dal decesso di una delle pazienti del centro di riabilitazione Santa Maria del Prato, che accoglie prevalentamente disabili, quasi tutte donne.

Le sue condizioni si aggravano il 10 aprile, e viene disposto il trasferimento presso l'ospedale Sant'Andrea. Nel giro di ventiquattro ore non c'è più nulla da fare, se non comunicare ai familiari il triste epilogo. Una vicenda oscura, ricostruita nei giorni scorsi da La Repubblica, e finita in un fascicolo aperto dalla Procura di Tivoli. Ma non è il solo caso di positività del centro. L'esito degli screening è drammatico: su un totale di 105 utenti sono stati riscontrati 51 casi di positività al Covid-19, mentre tra gli operatori sanitari ci sono 28 infetti su un totale di 61.

Numeri che fanno paura e che, con il passare delle ore, potrebbero salire visto che non tutti i tamponi sono ancora stati processati. La domanda a cui i familiari degli ammalati e gli inquirenti cercano risposta è: si è fatto abbastanza per evitare questo dramma? Difficile da stabilire se non si hanno chiari riferimenti temporali. Da quello che risulta a noi, già alla fine di marzo l’amministrazione comunale era stata informata del fatto che nella struttura c'erano alcuni pazienti con sintomi sospetti, come febbre, tosse e difficoltà respiratorie.

Per questo il primo di aprile parte un sollecito informale alla Asl Roma 4 per chiedere un "intervento", anche alla luce del moltiplicarsi dei casi di coronavirus in strutture analoghe. La richiesta però cade nel vuoto. Dopo circa una settimana, il 6 aprile un'operatrice di Oriolo Romano, in provincia di Viterbo, che lavorava a Santa Maria del Prato risulta positiva al Covid. Il giorno dopo il Comune invia una nota a "Prefettura di Roma, Regione Lazio - Assessorato alla Sanità, Agenzia Regionale di Protezione Civile, Asl Roma 4 - Direzione Generale per chiedere di disporre con immediatezza l’isolamento della struttura, compreso il personale impiegato presso la stessa".

"Ad oggi questo isolamento non c’è ancora stato, visto che gli operatori risultati negativi che assistono i degenti continuano ad entrare ed uscire dal centro", denuncia l’assessore all’Ambiente, Albino Cesolini."L'intervento della Regione – prosegue - è arrivato soltanto dopo tre solleciti". Il 9 aprile, fa sapere l’amministrazione comunale, viene inviata una seconda nota alla Regione Lazio "per chiedere un concreto intervento al fine di contenere la diffusione del Covid-19". I tamponi, 61, vengono effettuati però soltanto a partire dal 9 aprile, due giorni dopo la richiesta da parte dell’ente. Le risposte arrivano in diverse tranche, il 15 e il 18 aprile, giorno in cui la Regione Lazio, d’accordo con il sindaco e il prefetto, decidono di dichiarare il comune "zona rossa".

Nel frattempo il numero dei contagiati sale vertiginosamente. L’11 aprile, quando i casi sono già cinque, il Comune invia una seconda nota per "segnalare come ‘assolutamente intollerabili’ i ritardi nelle comunicazioni" e rinnovare la "richiesta formale di isolamento della struttura con ogni provvedimento conseguente". Il 18, quando arrivano i risultati, si scopre che la situazione è ormai degenerata. "Abbiamo protestato con la Asl per la lentezza nella comunicazione dei risultati dei tamponi, ma dalla Roma 4 ci hanno risposto che il ritardo e il frazionamento delle risposte sono dovute al caos che si è creato nei laboratori", ci dice Alessio Nisi, vicesindaco del Comune alle porte di Roma.

L’amministrazione fa sapere di aver "fatto il massimo per sollecitare azioni e provvedimenti degli organi competenti, agendo con celerità"."Se la Regione avesse agito per tempo disponendo una misura speciale per il centro di riabilitazione – denunciano dal Comune - si sarebbe circoscritto il focolaio". "Oggi ci ritroviamo l’intero territorio comunale zona rossa è un danno d’immagine, sociale ed economico senza precedenti", concludono dal piccolo centro a nord della Capitale. "Oltre al dramma umano c’è da affrontare anche quello economico e qui nessuno ci ha fatto sapere se arriveranno o meno altri aiuti, nonostante il paese sia completamente bloccato", si lamenta Cesolini.

"Ora dobbiamo concentrarci sull’emergenza", gli fa eco il vicesindaco. "Ma quando questa fase sarà passata – aggiunge – dalla Regione dovranno spiegarci perché non sono intervenuti immediatamente".

E promette: "Se sarà necessario siamo pronti a costituirci parte civile in un eventuale processo".

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