RomaRimpastino con giallo. Alle 12.30 Saverio Romano, transfuga Udc ed esponente di spicco dei «responsabili» del Pid, sale al Colle assieme a Berlusconi e Gianni Letta per essere nominato nuovo ministro dellAgricoltura. Prenderà il posto di Galan, spostato ai Beni culturali, poltrona lasciata vuota dal dimissionario Sandro Bondi. Giuramento solenne, brindisi e strette di mano. Peccato che appena uscito dal Quirinale, proprio da lì parta una nota del tutto inusuale. Napolitano, si legge nel comunicato, «dal momento in cui gli è stata prospettata la nomina dellonorevole Romano... ha ritenuto necessario assumere informazioni sullo stato del procedimento a suo carico per gravi imputazioni. Essendo risultato che il giudice delle indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo... il capo dello Stato ha espresso riserve... dal punto di vista dellopportunità politico-istituzionale». Poi: «Il presidente della Repubblica ha proceduto alla nomina non ravvisando impedimenti giuridico-formali che ne giustificassero un diniego».
Un missile che coglie di sorpresa tutti, soprattutto il neoministro Romano. Il quale, raggiunto Montecitorio, non nasconde lamarezza: «Sono convinto che quanto scritto nella nota diffusa dal Quirinale non corrisponde al pensiero di Napolitano - dice ai cronisti -. E comunque sono dispiaciuto dai contenuti della nota perché si parla di imputazioni ma non sono mai stato imputato». In effetti Romano è stato indagato (per ben otto anni, ndr) e pochi giorni fa il pm, ossia laccusa, ha chiesto al gip larchiviazione.
Le doglianze di Romano provocano subito unulteriore nota dellufficio stampa del Colle: «Non si ritiene di dover commentare le affermazioni dellonorevole Saverio Romano, ma solo di invitare a una più attenta lettura della nota... nella quale non viene attribuita la qualifica di imputato». Non «imputato» ma «imputazioni». Quisquilie? Sarà. Di fatto lopposizione si tuffa nella polemica e, da Di Pietro a Bocchino, parte il processo e relativa condanna al neo ministro.
Ma il giallo non sta solo nelle perplessità del Colle. Nel momento in cui il «responsabile» giura nelle mani di Napolitano, la giunta per le autorizzazioni della Camera è riunita per votare sul conflitto di attribuzione per il caso Ruby. Peccato che manchino proprio i due «responsabili» Elio Belcastro e Bruno Cesario. Veleno a fiumi in Transatlantico:
«Si appalesano soltanto dopo la notizia che la nomina di Romano è andata liscia?», si maligna. «Fesserie», giurano in coro i «responsabili», in realtà impantanati in un summit del gruppo non proprio amichevole. Il casus belli è lappetito delle tante componenti del gruppo parlamentare in vista dei prossimi ritocchi alla compagine governativa. La bagarre scoppia quando qualche esponente del Pid tira fuori largomento sottosegretariati. «Romano ha già avuto ma che volete di più?», sinalberano gli altri. I più irritati sono Francesco Pionati (leader dellAdc) e Domenico Scilipoti (ex Idv). Ma alza la voce pure Pippo Gianni (Pid). La verità è che tutti ambiscono a un ruolo di governo e chiedono spazio (Calearo, Sardelli, Misiti, Polidori ecc...). Alla fine, a fare da mediatore, è lex Fli Silvano Moffa che placa gli animi dei colleghi: «Al bando i personalismi, siamo un gruppo parlamentare e così ci dobbiamo comportare. Stileremo una piattaforma politica e la presenteremo al premier questa sera». Chiude così: «E mi raccomando, non andiamo dal premier con la lista della spesa e delle richieste di poltrone». I toni si raffreddano e Pionati tiene solo a precisare: «I responsabili non sono un prolungamento del Pid». In serata Berlusconi li riceve tutti a palazzo Grazioli. Assicura: «Manterrò gli impegni, entro dieci giorni rimpasto totale».
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