Romanzo criminale e i misteri degli anni Ottanta

Mafia, terrorismo e servizi deviati nella nuova serie della fiction. Il regista Stefano Sollima: "Alla fine i delinquenti pagano tutto". Morto il capo, i superstiti della banda della Magliana provano a vendicarsi

Romanzo criminale e i misteri degli anni Ottanta

Roma - Cosa resterà di questi anni ’80, cantava alla fine di quella decade Raf. Che forse non s’immaginava che trent’anni dopo nell’immaginario televisivo l’istantanea di quell’epoca avrebbe raccontato di una criminalità già locale, romanocentrica ma con una ragnatela tessuta a coprire l’Italia intera. Parliamo dell’incredibile, per ampiezza e forza, banda della Magliana che ha trovato nelle pagine di Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo la sua più feroce rappresentazione. Poi il film di successo di Michele Placido con un cast «all star», seguito dalla serie tv che ha messo d’accordo pubblico e critica e ora le riprese della seconda stagione che si stanno svolgendo in questi giorni a Roma. Al timone di comando c’è sempre Stefano Sollima che dirige con piglio deciso e sicuro una troupe e un cast in cui ormai confondi gli attori con i personaggi, tanta è la consuetudine, loro e nostra. Romanzo criminale 2 - La serie, dopo i 12 episodi (ora in uscita in dvd in elegante cofanetto Fox) che hanno raccontato l’inarrestabile ascesa della banda che, dalla fine degli anni ’70, ha conquistato la Roma criminale seminando il terrore, inizia con una domanda, esattamente da dove finiva la prima stagione: chi ha ucciso il Libanese (Francesco Montanari)? Il tentativo di dare una risposta unisce nuovamente il Freddo (Vinicio Marchioni) e il Dandi (Alessandro Roja) ma se il primo è sopraffatto dal senso di colpa per aver voltato le spalle all’amico, il secondo è mosso da ambizioni senza scrupoli e distruttive. Ben presto la lotta per chi dovrà prendere il posto di Libano, e proseguirne il grandioso progetto, prenderà il sopravvento. Si passa così dalla morte del «re» alla sete di vendetta che riunisce con ritrovata energia i membri della banda, fino a una nuova parabola discendente, questa volta definitiva, segnata ancora una volta da violenza e tradimenti.

I dieci nuovi episodi prodotti da Cattleya e Sky Cinema (stavolta senza l’apporto di Mediaset segno dei rapporti ormai mutati) che andranno sulla tv satellitare a pagamento il prossimo novembre, si distinguono dal libro soprattutto per quelle che De Cataldo stesso definisce invenzioni pure di drammaturgia». Anche se il magistrato-scrittore, curatore del soggetto di serie, poi precisa: «Continua l’interesse ai fatti storici di quegli anni e lo spirito del romanzo, prima travasato nel film e poi nella serie, prosegue con risultati sorprendenti». Ieri a Roma, nell’ex aula bunker del Foro Italico all’interno d’una delle maggiori architetture del razionalismo (la Casa della scherma di Luigi Moretti ora in uno stato di vergognoso abbandono), si girava un momento fondamentale della seconda serie in cui lo Stato riesce a mettere sotto processo alcuni membri della Banda grazie anche al rinnovato spirito investigativo del commissario Scialoja (Marco Bocci). E dalle labbra del Pubblico ministero escono tutte quelle connessioni che hanno reso la storia di quel gruppo di giovani criminali paurosa, ambigua e destabilizzante: mafia, camorra, Brigate rosse, servizi deviati...

Una miscela esplosiva (in cui entrerà anche la scoperta della Loggia P2, i Mondiali di calcio dell’82, lo scandalo del Banco Ambrosiano), che probabilmente conquisterà nuovamente il pubblico e decreterà ancora una volta il successo di una serie definita da Aldo Grasso «uno degli esiti più riusciti della fiction italiana» che, esempio raro, è stata molto venduta anche all’estero (Spagna, America del Sud, Canada, Francia...). «È una storia che piace tanto - spiega il regista - perché è universale. Raccontiamo il sogno di cinque ragazzini di cambiare il mondo e alla fine, anche se in maniera criminale, quel sogno lo coronano».

Non c’è il rischio di mitizzarli, come ha avuto modo di polemizzare tempo fa il sindaco Alemanno? «Quando si vedranno insieme le due serie che

per me sono come un unico film - risponde Sollima - si vedrà che l’empatia dello spettatore sarà diversa. La morte del Libanese cambia tutto, ora è il declino di un impero in cui alla fine i criminali pagheranno tutto».

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