Una «rosa bianca» per Hitler

Alessandra Miccinesi

Religione e diritti umani, ideale politico e coerenza, amore e morte. Sono queste le direttrici dei film più attesi del weekend che, ad eccezione della commedia esistenzialista Bambole russe - diretto da Cédrik Klapisch il quale prosegue il travagliato viaggio sentimentale di Romain Duris e Audrey Tatou iniziato nell'Appartamento spagnolo -, tendono allo stesso valore universale: la libertà. Intitolato come il movimento universitario pacifista che a Monaco nel ’43 provò a sedare il delirio nazista, La Rosa Bianca di Marc Rothemund è il film che la Germania candida agli Oscar 2006. Il film svela col coraggio della verità la storia della pasionaria Sophie Scholl (Julia Jentsch) e di suo fratello Hans, studenti arrestati dalla Gestapo dopo un volantinaggio in ateneo: costretta a subire dure pressioni psicologiche durante gli interrogatori, Sophie sceglie di non tradire i suoi compagni né i suoi ideali, anche costo della vita (Nuovo Sacher, Rivoli, Tibur e Ugc Ciné Cité). Dal regista di Festen arriva il secondo tassello della velenosa trilogia americana iniziata con Dogville. Con Manderlay Lars Von Trier affronta un altro peccato capitale, il razzismo, circoscrivendolo in una piantagione dell’Alabama dove, siamo negli anni ’30, i neri lavorano in schiavitù. Stretta nel suo cappotto dal collo di pelliccia, la pallida Grace (Byrce Dallas Howard, che sostituisce Nicole Kidman) stavolta fa danni nel tentativo di rieducare gli schiavi. Uno spicchio d’Africa insanguinata, e il riflesso di un’ombra sui vetri del palazzo dell’Onu, danno il via a The interpreter thriller fantapolitico diretto da Sydney Pollack supportato dalle performance di Nicole Kidman e Sean Penn. Sylvia (Kidman) è l’algida interprete di dialetti africani rea di aver captato in cuffia una conversazione tra ignoti che vogliono assassinare un capo di Stato. L’uomo, accusato di genocidio e atteso alle Nazioni Unite per accogliere il verdetto dell’Assemblea, è una vecchia conoscenza di Sylvia, fuggita dall’Africa a New York prima dei massacri. Al ruvido agente dell’Fbi (Penn), incaricato di pedinare la donna e di indagare sul suo passato africano, il compito di sbrogliare la matassa.
Un amore impossibile, quello di un vecchio per una sedicenne. Una barca cullata dalle onde del mare, dove i due vivono insieme: la ragazza dondolando sull’altalena e il vecchio scoccando frecce col suo arco musicale.

E un finale onirico dal forte valore simbolico, che sarebbe un peccato svelare. Si intitola L’arco ed è il nuovo film del coreano Kim Ki-duk, il quale, armonizzando le immagini e prosciugando i dialoghi, cattura lo spettatore con un sorso di pura poesia.

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