Rossi s’arrabbia e Cannavaro fa retromarcia

Il commissario Figc infuriato. Il capitano azzurro costretto a correggersi: «Chi ha sbagliato deve pagare»

Paolo Marchi

nostro inviato a Firenze

Speriamo avesse già fatto colazione ieri mattina Guido Rossi, commissario straordinario del pallone tricolore, perché se aveva il cornetto in bocca, mentre leggeva le dichiarazioni pro-Moggi di Fabio Cannavaro, gli andava di certo di traverso per lo stupore assoluto e la successiva rabbia. Nel capitano azzurro, l’ex direttore generale della Juve aveva trovato mercoledì un appassionato difensore, troppo sopra le righe nel giustificare il sistema-Moggi («Così facevano tutti... la sudditanza psicologica non esiste... il direttore faceva bene il suo mestiere... il direttore gestiva tanti giocatori e aveva tanti amici, perché hanno messo sotto controllo solo le sue linee?») da rovinare la mattinata a chi è stato chiamato a rifondare il calcio nazionale e proprio lunedì a Coverciano si era speso a mille per rasserenare l’ambiente dissolvendo ogni nube sul ct Lippi e sui nazionali che arrivano da Torino piuttosto che Firenze e che in pieni Mondiali potrebbero scoprire che il loro prossimo torneo sarà quello cadetto.
Conseguenza immediata: prima ha telefonato a Giancarlo Abete, capodelegazione per Germania 2006, quindi ad Antonello Valentini, che della federcalcio è il portavoce, per esternare loro tutti gli stati d’animo e le sensazioni provate a leggere tesi che mai e poi mai si aspettava, non solo da uno qualsiasi degli atleti della rosa di Lippi, ma soprattutto dal capitano.
Senza assolutamente rendersene conto fino a ieri mattina (e ora chissà...), con quelle parole Cannavaro aveva dimostrato di non avere ben coscienza del momento. Un conto è dimostrare una sorta di solidarietà morale per chi è nei guai e un’altra, ben diversa, è sostenere che il «moggismo» era la regola per tutti, anche per chi (Galliani e il Milan?) non era mai stato intercettato mentre parlava al telefono con Lucianone. Tra l’altro quella del «così fan tutti» è una delle giustificazioni classiche di chi viene pizzicato con il sorcio in bocca, come chi si dice innocente perché obbediva agli ordini, anche i più vergognosi, piuttosto che il tengo famiglia di chi ruba.
Con quella uscita lo juventino aveva anche dimostrato di non avere nemmeno capito gli sforzi di alcuni compagni di nazionale per non infierire sulla Signora torinese. Certo, a Nesta le due ultime stagioni fanno schifo ma altri milanisti hanno detto di credere nell’impegno sul campo dei giocatori di Capello. Insomma: un grande casino azzurro quando nessuno ne sentiva bisogno.
Un giovedì ai limiti del surreale. Con il centro tecnico impegnato nel rito delle foto ufficiali, comprese quelle in abito blu firmato Dolce & Gabbana, e poi nella presentazione dell’inno composto e interpretato dai Pooh, Cannavaro è stato invitato a chiarirsi. Abete a mezzogiorno: «C’è l’esigenza che lo faccia perché con quell’intervista ha provocato una forte scossa. La nazionale ha bisogno di serenità». Non l’avesse fatto? Impossibile, tanto che nemmeno Lippi gli ha fatto balenare la possibilità di togliergli la fascia di capitano. Del resto la sua precisazione non è affatto una smentita. Diversamente dal solito, secondo malcostume generale, almeno lui non ha detto che i giornalisti hanno travisato ad arte il suo pensiero o l’hanno inventato di sana pianta. Sintetizzando: «Ci sono dei passaggi sui giornali dai quali mi sono reso conto di non essere riuscito a spiegare il senso del mio pensiero. Me ne rammarico con me stesso per il ruolo che ricopro all’interno della nazionale. Confermo che chi ha sbagliato in tutta questa vicenda è giusto che paghi (cosa peraltro detta anche 24 ore prima, ndr). Ho piena fiducia nel lavoro della magistratura ordinaria e di quella sportiva e nell’attività del commissario straordinario. Fare chiarezza e darsi nuove regole è la strada per restituire credibilità al calcio italiano». In soldoni: Cannavaro continua a pensare che Moggi sia un fior di dirigente, ma se non lo dice più è meglio in primis per lui. Una buona notizia gli arriva invece da Torino.

Aperta la cassaforte a casa sua, sigillata durante la perquisizione di settimana scorsa, non è stato trovato nulla di compromettente. Solo effetti personali ma nessun documento utile alle indagini sui bilanci della Juve e le compravendite dei calciatori.

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