Politica

Roveraro giustiziato con un colpo in testa

I messaggi cifrati nelle telefonate della vittima hanno innervosito i rapitori

Enrico Lagattolla

da Milano

Il rapimento, il viaggio verso Parma, la segregazione, le trattattive, i conflitti di personalità. La morte. Gli ultimi giorni di Gianmario Roveraro ricostruiti nel racconto caotico e frammentario fatto da Filippo Botteri ai magistrati, la mattina di venerdì scorso. Un interrogatorio lacunoso, in cui Botteri ripercorre a fatica le tappe della vicenda, e da cui emerge come il carnefice si sia sentito tradito dall’uomo che aveva considerato come un trampolino di lancio verso l’alta finanza. «Tanto l’ho ammirato - dice ai Pm - e tanto sono arrivato a odiarlo».
Il rapimento. L’ultimo viaggio di Gianmario Roveraro è un viaggio al buio. Bendato e legato in un’auto che lo preleva a pochi passi da casa, e lo trasporta al covo dove sarà rinchiuso fino al giorno della sua morte. Botteri racconta che la sera di mercoledì 5 luglio, assieme a Emilio Toscani e Marco Baldi, avvicinano il finanziere dell’Opus Dei. «Vieni con noi, andiamo a farci un giro». Nulla di minaccioso, almeno all’inizio. Botteri e Roveraro si conoscono. L’uomo sale. Una volta nell’auto, però, viene legato e «incappucciato». Lo bendano con una mascherina, di quelle usate sugli aerei. Poi partono alla volta di Parma.
La segregazione. Gianmario Roveraro resta almeno cinque giorni nelle mani dei suoi aguzzini. L’area è quella di Citerna Vecchia, tra Fornovo e Solignano. Ma ancora non è chiaro quale sia la «prigione» in cui è rinchiuso. Botteri - la mente del sequestro - non ricorda. «Non so dove, so solo che è morto». Non ricorda altro. Ma è Toscani a condurre gli inquirenti al cadavere fatto a pezzi del finanziere, di cui ieri sono state trovate la testa e le gambe. Lo stesso Toscani che - nel corso dell’interrogatorio - ricostruisce la genesi del rapimento. «Botteri mi ha chiamato. Mi ha detto che aveva bisogno di aiuto. Mi ha spiegato che si trattava solo di un’operazione di “recupero crediti”». Le cose vanno diversamente.
La Morte. «Roveraro è morto perché mi doveva dei soldi. Ricordo solo alcune scene - continua Botteri - ma prima ho il buio. Non so il giorno esatto in cui l’ho ucciso. Una settimana fa, forse di più». Botteri è interrogato la mattina di venerdì 21. Stando ai calcoli della sua memoria, Roveraro muore tra il 10 e il 13 luglio. Non dice nulla a proposito dello «scempio» compiuto sul cadavere del finanziere, né specifica se l’omicidio sia stato pianificato fin dall’inizio. Eppure, questo è il sospetto degli inquirenti. L’esecuzione, cioè, si sarebbe dovuta consumare dopo il versamento da parte di Roveraro di quel denaro - dieci milioni di euro, poi scesi a uno - pretesi da Botteri come risarcimento per l’affare «anglo-austriaco». Un affare fallito. In ogni caso, il finanziere viene ucciso con un colpo d’arma da fuoco che gli trapassa il cranio. Poi, il cadavere viene fatto a pezzi.
I conflitti. Botteri si sente preso in giro. Crede che Roveraro stia tergiversando. Pensa - anzi - che il finanziere si stia prendendo gioco di loro, che le poche telefonate fatte dall’uomo ai familiari e ai collaboratori contengano dei «segnali» che possano indirizzare gli inquirenti nelle indagini. Non solo. Botteri pensa che Roveraro si senta un «intoccabile». Che stia solo prendendo tempo, e che non abbia nessuna intenzione di pagare. Anche per questo, forse, la situazione precipita. E la tensione, tra i tre criminali, cresce col passare dei giorni. Si sentono braccati. Botteri scompare dalla circolazione. Nessuno lo vede in giro, nemmeno la madre. La donna chiama l’avvocato del figlio per avere sue notizie. Nulla. Baldi, invece, in una telefonata intercettata dalle forze dell’ordine, gli dice di non volerne più sapere nulla. «Io mi tiro indietro». Ma è tardi.
La soffiata. A confermare la «pista» seguita dagli investigatori è Franco Todescato, un passato burrascoso da finanziere, e qualche conto aperto con l’assassino. È Todescato, sentito il 15 luglio dai magistrati, a dire che Botteri «era molto arrabbiato con Roveraro, perché gli dava la colpa delle sue perdite». Si sente in pericolo. Teme, Todescato, di poter essere la prossima vittima di Botteri. Che lo minaccia più volte. «Ti porto via la fidanzata in un furgone», gli dice. Si presenta sotto casa sua. Insiste nelle richieste di denaro.
Gli sviluppi. Da domani riprendono gli interrogatori. Sarà sentito per la prima volta Marco Baldi, la mente informatica del gruppo. Martedì, invece, toccherà di nuovo a Botteri e Toscani. Al momento, nel registro degli indagati della Procura di Milano non sono iscritti altri nomi. Ma la vicenda non sembra chiusa. Al deputato dei Verdi Camillo Piazza, che lo ha incontrato nel carcere di San Vittore, Botteri ha rilanciato.

«I contorni di questa vicenda non sono ancora stati chiariti».

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