Roveraro, lo strano giro d’affari porta a Lugano

Quindici telefonate allo studio De Vittori per sbloccare 10 milioni di euro

Enrico Lagattolla

da Milano

«Ricordo di aver conosciuto il dottor Roveraro negli anni 1997-98. Da subito vi furono dei contatti di lavoro tra me, mia madre e il dottor Roveraro, che tuttavia non sfociarono in nulla di concreto. Questo, almeno, sino al mese di febbraio 2002». Così raccontava Filippo Botteri ai magistrati lo scorso 12 luglio. Così inizia lo strano sodalizio tra il faccendiere di provincia e il «re» della finanza bianca. Da quell’incontro in poi, Roveraro è circondato da affaristi spregiudicati. E il sodalizio ha il suo epicentro in Svizzera.
I nomi sono quelli di Botteri e di sua madre Laetitia, la mente finanziaria della famiglia. È amministratrice della «B3 partner Srl», e di «Eurofim Srl», fallita nel ’94. Poi, Fabio Gnudi, la cui storia finanziaria si consuma nella costituzione di cinque società, quattro delle quali fallite nel 2005. Giuseppe Maffei, che ha un contenzioso aperto con Botteri per due assegni incrociati da 100mila euro, di cui uno scoperto. Franco Todescato, finito in galera nel 2003 per aver contraffatto titoli «Crédit Agricol», posti a garanzia delle banche per ottenere l’apertura di linee di credito. Le loro storie si incrociano a Lugano, nello studio della società di consulenze internazionali «Federico De Vittori». Lì nasce l’«operazione anglo-austriaca», il primo «miraggio» finanziario.
«Nel febbraio 2002 - ricorda Botteri agli inquirenti - io e Roveraro acquistammo quali soci al 50 per cento la società inglese Eds Ltd. La rilevammo tramite uno studio fiduciario svizzero con sede a Lugano». Lo studio di De Vittori, appunto. Poi si passa alla «Austria international consulting», costituita da Todescato nel 2003. L’affare dovrebbe garantire un guadagno di oltre 24 milioni di dollari a fronte di un investimento di 250mila euro. Sono «soci», Todescato e Roveraro. «Rammento - prosegue Botteri - che quando Todescato uscì dal carcere aveva bisogno di denaro. Roveraro mi diede un assegno di 15mila euro, pregandomi di consegnarli in contanti a Todescato». Ancora. «Sempre su consiglio di Roveraro consegnai a Todescato 10mila euro di tasca mia, e in altre occasioni altre somme di di denaro, per un ammontare di circa 200mila euro, parte miei e parte dei miei clienti e amici di Reggio Emilia». «Con Todescato - prosegue - ho costituito altre due società inglesi pressoché identiche alla Eds, sempre presso lo studio di De Vittori, che ho frequentato di rado. Per lo più abbiamo avuto contatti telefonici riguardo a questo affare».
Le telefonate, appunto. Nei giorni del sequestro, oltre a quelle fatte a Todescato, a casa di Roveraro e alla «Alter Sim» (dove il finanziere cerca liquidità per un milione di euro), di chiamate a Lugano ne arrivano molte. Criptate dal sistema Voip. L’account è «rov87». La prima telefonata arriva al cellulare di De Vittori alle 16.17 di giovedì 6 luglio. Roveraro è scomparso la notte precedente. La linea cade. Pochi secondi dopo, il collegamento riesce. La chiamata dura poco meno di un minuto e mezzo. La mattina del giorno successivo, ancora una telefonata. Sono le 9.55. Ancora due tentativi prima di mettersi in contatto attraverso l’altro account. «Bitorzolo77» stabilisce una connessione con il numero dell’ufficio di De Vittori. La comunicazione dura 1 minuto e 31 secondi. Nel corso della stessa giornata, per 15 volte viene tentata la comunicazione con il commercialista. Solo sette volte, e per un massimo di 6 minuti scarsi. Roveraro chiede in un primo momento che vengano sbloccati 10 milioni di euro. De Vittori risponde di non aver alcuna procura sui conti bancari di Roveraro. Anzi, gli risponde di non sapere nemmeno che avesse dei conti in banca in Svizzera.

Nell’ultima chiamata, la richiesta scende a un milione. De Vittori risponde di avere bisogno di due giorni, passando attraverso la sede di Londra. Quel denaro, però, viene bloccato. È l’ultima, drammatica «trattativa» di Roveraro.

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