Milano La foto pornografica di «Ruby» passa di mano in mano: dai pm ai giudici, ai difensori, mentre dai loro banchi i giornalisti cercano di aguzzare la vista. Il processo a Silvio Berlusconi passa (forse inevitabilmente, forse no) per alcune asprezze ai danni delle presunte vittime del processo, le ragazze invitate ad Arcore: tre delle quali (Ruby, Iris Berardi, Michelle Conceicao) si vedono rifilare in aula con nome e cognome la professione più antica del mondo. Che tre della trentasei giovani donne che compaiono nelle carte fossero delle habitué del sesso a pagamento è un fatto la cui rilevanza - nelle tesi della Procura - si capirà solo strada facendo.
Per adesso, il concetto è sufficientemente chiaro: secondo i pubblici ministeri, tra le ospiti delle serate di Arcore non c’erano solo delle fanciulle di belle speranze disponibili a qualche compromesso per fare carriera e sbarcare il lunario, ma anche delle escort professioniste.
La rivelazione viene dal primo testimone del processo all’ex premier per concussione e uso della prostituzione minorile: Marco Ciacci, vicequestore di polizia, capo della sezione che dipende direttamente dalla Procura, ovvero - nel caso specifico - da Ilda Boccassini. Nelle sue mani, a partire dal 3 settembre 2010, una inchiesta come tante su un giro di squillo negli hotel del centro di Milano si è trasformata nella bomba che ha investito il presidente del Consiglio e che, secondo lo stesso Berlusconi, ha avuto un ruolo cruciale nel portare alle sue dimissioni.
A raccontare che «Ruby» aveva avuto rapporti sessuali col capo del governo erano stati, dice Ciacci, un barista di corso Buenos Aires e una coinquilina di Ruby: «Fonti di quinta mano», le definisce Niccolò Ghedini, difensore del Cavaliere. Che va all’attacco anche su un altro versante: le indagini sulle feste di Arcore sono state fatte indagando illegalmente sul presidente del Consiglio, che veniva tenuto d’occhio attraverso i tabulati dei telefoni delle ragazze. E questi tabulati, che dal processo dovevano essere esclusi, sono invece rimasti nel fascicolo. I giudici faranno sapere la loro risposta alla prossima udienza.
Ma mentre nell’aula del «Rubygate» si entra nel vivo del processo, un piano più sopra la Procura parte all’attacco di Berlusconi su un altro versante: l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio per la pubblicazione sul Giornale, nel dicembre 2005, della telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, in cui i due esponenti dei Ds festeggiavano la conquista della Bnl. La Procura ha indagato in profondità su quella fuga di notizie, indagando e rinviando a giudizio l’editore del Giornale, Paolo Berlusconi, e il titolare della ditta di intercettazioni. Per Silvio Berlusconi era stata chiesta l’archiviazione, non essendoci traccia di un suo ruolo né nella fuga di notizie né nella pubblicazione. Invece lunedì mattina la stessa Procura che lo aveva discolpato chiederà il rinvio a giudizio del Cavaliere.
È un cambio di rotta forzato: a costringere la Procura a cambiare idea è stata una giudice preliminare, Stefania Donadeo, che ha restituito al mittente la richiesta di archiviazione formulata dal pm Maurizio Romanelli. A quel punto la Procura, come previsto dal codice di procedura penale, il 22 settembre non ha potuto fare altro che formulare il capo di imputazione nei confronti di Berlusconi, e lunedì prossimo, nel corso di una nuova udienza preliminare, insisterà sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Con quanta convinzione è facile immaginarlo, visto che nel frattempo non sono emersi elementi nuovi: gli elementi a carico dell’ex premier sono gli stessi per cui un anno fa la Procura di Milano aveva chiesto di proscioglierlo, e sulla base dei quali lunedì prossimo chiederà di processarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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