Milano - Un processo, spiegano in Procura, è fatto di tante prove: che prese singolarmente possono sembrare indizi o poco più, ma tutte insieme possono portare a convincere i giudici. E di questo mosaico di prove fanno parte quelle che i pm milanesi stanno continuando a raccogliere in questi giorni, per portarle in aula il prossimo 6 aprile, all’apertura del processo per concussione e prostituzione minorile contro Silvio Berlusconi.
Sono le prove che l’altro giorno Ilda Boccassini ha consegnato ai legali del premier: nuovi accertamenti bancari, e nuovi interrogatori che confermerebbero le chiacchiere con cui le ragazze del residence di via Olgettina raccontavano delle loro serate nella villa di Berlusconi ad Arcore.
Anche i legali del Cavaliere vanno avanti a indagare. Ma per Ghedini e Longo è sufficiente, a smontare l’impianto fondamentale dell’accusa, quanto già raccolto nei primi tre mesi, e che secondo loro dimostra: a) che Berlusconi non è mai andato a letto con «Ruby Rubacuori»; b) che non ha mai costretto i poliziotti milanesi a rilasciare la fanciulla, la notte del 27 maggio 2010.
Su quest’ultimo punto, uno degli elementi su cui la coppia di legali del Cavaliere puntano maggiormente è un verbale di interrogatorio difensivo reso il 3 febbraio scorso da un funzionario dei nostri servizi segreti. Trattandosi di uno 007, il suo nome nell’aula del processo non potrà essere fatto. L’uomo ha 47 anni, è nato a Milano. Come indirizzo fornisce quello di via Giovanni Lanza, a Roma, la sede dell’Aisi. Di mestiere, si occupa della sicurezza del presidente del Consiglio. Fu lui, la notte del 27 maggio, a bordo dell’aereo presidenziale, a telefonare alla questura di Milano dove si trovava Kharima el Mahroug, ovvero «Ruby». Ed è lui, nella nota di servizio che spiega e conferma ai legali, a descrivere quella telefonata come una richiesta di informazioni dai toni «assolutamente normali».
«Il giorno 27 maggio alle ore 23 circa mi trovavo in qualità di responsabile delle scorta dell’on. Silvio Berlusconi preso l’aeroporto Le Bourget di Parigi al seguito del presidente del Consiglio dei ministri che si trovava nella capitale transalpina perché impegnato in una riunione ministeriale Osce. Mentre mi trovavo con le autorità al suo seguito a bordo dell’aeromobile, svolgendo le ultime attività di verifica prima del decollo, venivo avvicinato dall’on. Valentino Valentini, che abitualmente segue il premier durante i suoi spostamenti all’estero, il quale mi chiedeva se era possibile contattare qualcuno alla questura di Milano in quanto il presidente voleva avere notizie riguardo ad una situazione. Lo scrivente, mentre si trovava all’interno della cabina del presidente, contattava all’uopo il capo di gabinetto della questura di Milano, dott. Pietro Ostuni. Tengo a precisare che ho rapporti costanti di lavoro con il dott. Ostuni, in relazione al fatto che la nostra attività si svolge prevalentemente anche nel capoluogo lombardo».
«Spiegai brevemente al dott. Ostuni che l’on. Valentini aveva bisogno di parlargli di una questione che interessava il presidente e glielo passai, dando il mio cellulare all’onorevole. Successivamente mi allontanavo per svolgere mansioni connesse al mio incarico. Dopo poco l’on. Valentini nel restituirmi il cellulare mi riferì dell’interessamento del premier per una persona conosciuta e che era trattenuta presso gli uffici della questura di Milano. Giunti a Roma presi posto come di consueto all’interno della vettura utilizzata dal presidente. Dopo poco l’on. Valentini mi chiese se si potevano avere aggiornamenti sulla questione di Milano. Ricontattai perciò il dott. Ostuni e gli chiesi se ci fossero novità al riguardo. Il dirigente mi spiegò che le procedure erano in via di completamento e che la persona in oggetto era ancora trattenuta per accertamenti. A questo punto passai il cellulare all’on. Valentini che lo diede al presidente Berlusconi, che si limitò a ringraziare il dott. Ostuni.
Della vicenda non ho più avuto notizia».Chiedono gli avvocati del premier: «I toni erano garbati, erano pacati o erano alterati?». Risponde l’agente segreto: «No, no... Erano i toni pacati di una buona conversazione, come si suol dire».