Rugby e baseball, i club fanno squadra

Nel mondo ovale, dopo i tracolli in Europa, pronti a giocare le coppe con province o selezioni Sui diamanti campionato a franchigie, con le società aggregate e appoggiate dalla Major League

Rivoluzione. Per andare avanti, per non restare invischiati nella mediocrità. Tempo fa si accusavano le federazioni di soffocare le spinte che arrivavano dai club. Adesso scopri che certi campionati, in Italia, sono rimasti legati al loro piccolo mondo antico, mentre chi li governa cerca di scuoterli, di guardare più in là.

Il rugby, ad esempio, vive una clamorosa spaccatura tra le sue due componenti: da una parte una nazionale che vive della luce riflessa del Sei nazioni, un torneo che tra l’altro garantisce alla federazione fior di euro; dall’altra i club che vivono ancora nel secolo scorso, riescono a litigare persino in una lega fatta da dieci società (di cui quattro sono scappate) e non trovano una soluzione per evitare le umilianti sconfitte delle coppe europee. Sabato l’ultima scoppola: il Benetton Treviso, la squadra forse più rappresentativa, ricca e organizzata del nostro rugby, che prende 60 punti e 10 mete in Galles. Tanto per farci capire che non si può più andare avanti così. Se a questo aggiungiamo le tre brutte sconfitte azzurre nei test di novembre ecco che finalmente scatta l’idea di mettere assieme il poco che abbiamo per cercare di fare meglio.

L’ideale sarebbe affrontare le competizioni europee (almeno l’Heineken cup, la Champions ovale) con delle selezioni regionali, come fanno scozzesi e irlandesi, più furbi e navigati di noi. Una rappresentativa veneta, una lombardo-emiliana, una laziale-abruzzese, gli equivalenti di quelle selezioni a inviti che sono i Dogi, i Lupi, le Zebre, trasformati in veri club regionali, magari con l’obbiettivo di portare il grande rugby anche in città come Roma, Milano, Torino, Genova. Ma i campanili non sembrano consentire queste scelte. Le invidie per il vicino sono sempre forti, e allora finirà che la federugby farà passare il principio delle selezioni nazionali, magari due, una Nord e una Centro-sud con tutti i migliori giocatori del giro azzurro che non giocano all’estero, da far giocare in coppa. Così i club non governeranno più nemmeno questa vetrina.
Mettere assieme tante parrocchie per remare nella stessa direzione.

Un po’ quello che vorrebbe fare, a fatica, il baseball. Che nel 2009 riceverà la sua bella pioggia di dollari dalla partecipazione alla seconda coppa del mondo dei professionisti e che nel 2010, col supporto della Major league, lancerà il campionato a franchigie, cercando di convincere le società italiane a fare squadra, a collaborare a livello regionale per creare dei superclub non solo nei poli tradizionali, ma anche nelle città ormai uscite dal grande giro: Roma, Milano, Torino, Firenze.

Un progetto difficilissimo che già si è scontrato con l’opposizione di piccoli club (che hanno persino bloccato l’allargamento della A2 che serviva a recuperare queste realtà fondamentali per la futura lega) e che rischia di naufragare se non tutti capiranno che è inutile avere un campionato disputato interamente sulla via Emilia. Ma la paura di lavorare col vicino di casa è troppo forte.

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