Un ruolo estetico dietro la «grazia» del centrosinistra

Arturo Diaconale

Il direttore de Il Riformista Antonio Polito si è rivolto a Romano Prodi per chiedere che Vittorio Sgarbi venga «graziato» per il suo passato di intransigente sostenitore di Silvio Berlusconi e venga autorizzato a partecipare alle primarie dell'Unione.
Non so se la richiesta verrà accolta dal leader del centrosinistra. E non posso neppure prevedere quale reazione potrà avere Vittorio Sgarbi di fronte ad una «grazia» negata od, al contrario, concessa. Ma mi permetto, in nome di una antica comunanza di idee di libertà, di mettere in guardia Sgarbi dall'accettare un eventuale atto di clemenza da parte del Professore.
So bene che il valente critico d'arte la pensa in maniera diversa. Ed accoglierebbe di buon grado la graziosa concessione. Sono ormai parecchie settimane che la va sollecitando con lettere, invocazioni e suppliche. Ma gli lancio comunque un appello a seguire l'esempio di Adriano Sofri ed a non accettare clemenze e perdoni di sorta. Non in nome di una estetica della coerenza che a chi ama stupire può sembrare la classica virtù degli imbecilli. E neppure in nome della delusione di chi lo ha seguito ed eletto in passato e che oggi si può sentire tradito dalla sua scelta di recitare qualche decina di rosari sotto l'altare dell'Unione prodiana pur di ottenere l'indulgenza per la prossima legislatura.
La ragione su cui poggia l'appello è solo ed esclusivamente di natura politica. E parte dalla affermazione dello stesso Sgarbi secondo cui, con la dissoluzione politica del centrodestra, la scelta di collocarsi a sinistra diventa obbligata per chiunque voglia continuare a partecipare alla vita pubblica italiana anche nel corso della prossima legislatura.
Non condivido la tesi della evaporazione della Cdl. Credo, al contrario, che al momento del voto i delusi dell'area moderata si tapperanno naso, occhi ed orecchie ed offriranno una prova d'appello al Cavaliere. Ma la questione è opinabile. E quindi non insisto su questo punto. Ciò che è invece assolutamente certo è che se anche il centrodestra scomparisse dalla faccia della terra nessun intellettuale laico e liberale degno di questo nome avrebbe la possibilità di ritagliarsi un qualche spazio politico all’interno della sinistra italiana.
Intendiamoci, non è che l'intellettuale in questione non possa avere una precisa collocazione all'interno del caravanserraglio dell'Unione prodiana. Ma quella che gli viene riservata non è una collocazione con agibilità politica. Chi ha idee di libertà e vuole avere visibilità, spazio, onori ed eventuali poltrone deve accontentarsi del ruolo di spoglia conquistata al nemico. Può essere esibito alle feste dell'Unità, della Margherita o di Telese, portato in processione in qualche marcia della pace, issato sui palchi dei megaconcerti contro il debito dei Paesi del terzo mondo. In caso estremo può essere anche portato in Parlamento. Ma la sua deve rimanere una testimonianza funzionale agli interessi politici della sinistra, una foglia di fico destinata a coprire le vergogne della irreversibile illiberalità di uno schieramento che rimane fermo al cattocomunismo degli anni '70 del secolo scorso. In ogni caso si tratta di una testimonianza rigorosamente non autorizzata a svolgere attività politica autonoma. Se tenta di uscire fuori dal coro finisce con le spalle metaforicamente al muro. O, se la prima immagine sembra troppo cruenta, ai giardinetti sulla panchina dei pensionati.
Non c'è bisogno di ricordare la storia di emarginazione dei pochi laici e liberali finiti a sinistra dal '94 ad oggi. Sgarbi conosce uomini e fatti. E sa bene che per lui non ci sarebbe alcuna deroga. Al contrario. Per lui l'imperativo «allinearsi o perire» sarebbe addirittura più categorico.
Di qui l'appello a non accettare clemenze di sorta. Non solo perché è esteticamente brutto vedere Sgarbi battersi il petto ma perché a sinistra per i laici non c'è politica.

Solo lapidi.

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