La Russia chiude il gas all’Ucraina L’Europa rischia di restare a secco

Luciano Gulli

Con i chiari di luna energetici che ci ritroviamo noi italiani, la crisi tra Mosca e Kiev, innescata dalla decisione russa di chiudere i rubinetti del gas siberiano all’Ucraina, rischia di proiettare sgradevoli scenari sul futuro dei nostri approvvigionamenti metaniferi da quelle gelide lande.
Non sarà così, assicura da Mosca Gazprom, il gigante monopolistico controllato dallo stato russo. E se poi così dovesse essere, e disservizi nella fornitura si dovessero registrare, si sappia fin d’ora, dicono i Ponzio Pilato moscoviti, che la colpa sarà degli ucraini, e dei rubalizi che certamente verranno compiuti da questi ultimi ai danni della rete che convoglia gas in Europa. Il portavoce di Gazprom Serghei Kuprianov – non un tipo che brilli per doti diplomatiche, si direbbe - ha già dato dei ladri, senza mezzi termini, ai responsabili ucraini, accusandoli di aver già allungato le mani sul gas destinato all’Europa e di star agendo con premeditazione. Una premeditazione che data dal momento in cui l’Ucraina si rifiutò di pagare a prezzi di mercato la monumentale quantità di gas che la Russia passa ai «cugini» ucraini a prezzi di poco diversi dalla limosina che questi ultimi versavano ai bei tempi delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Mosca ha cominciato stamane a ridurre la pressione nei tubi ucraini, portando l’«ammanco» a 120 milioni di metri cubi al giorno. «Il gas per l'Europa è monitorato alla frontiera russo-ucraina e poi al suo passaggio in Slovacchia - hanno sottolineato i funzionari del gigante monopolistico -. E dunque si farà presto a capire quale sarà stato il volume dei prelievi abusivi».
Il semestre di presidenza russa del G8, che Mosca vuole impostare proprio sulle politiche di sicurezza energetiche, sembra dunque già nato sotto una cattiva stella. Nei giorni scorsi, di fronte allo stallo delle trattative sul prezzo del gas ucraino, il premier di Kiev Iuri Iekhanurov aveva rivendicato il diritto al prelievo del 15% del gas diretto in Europa occidentale come tassa di passaggio. Una tassa contestata vigorosamente dalla Russia, che sostiene di pagare già con 30 miliardi di metri cubi annui il diritto di transito.
Il braccio di ferro sul gas era cominciato nell'estate scorsa quando Gazprom (leggi: Putin, irritato dalle veroniche filo-occidentali del presidente ucraino Viktor Yushchenko) aveva deciso di far saltare il prezzo politico fino ad allora praticato alla controparte Naftagaz-Ukraina: la bazzecola di 50 dollari per 1.000 metri cubi di gas. Kiev, col cappello in mano, aveva chiesto un aumento scaglionato e rifiutato una prima offerta a 160 dollari. I signori di Mosca, imperturbabili, avevano rilanciato a 220-230 dollari, la tariffa praticata a molti Paesi europei. L’ultima proposta del presidente Putin è dell’altro ieri: firmare il contratto entro la mezzanotte di sabato e beneficiare di tre mesi di congelamento delle tariffe politiche. Dopo di che, amici come prima, ma dollari sull’unghia. Yushchenko, da parte sua, era per dilatare sine die i termini del contenzioso, anche se ieri, in extremis, si è detto pronto a pagare da subito un «ragionevole prezzo di mercato», ben lontano, secondo lui, dai 230 dollari per 1000 metri cubi pretesi da Mosca. Di qui il diktat di Putin, che pare destinato a riaprire una serie di vertenze, alcune anche territoriali, come quella che oppone i due Paesi a proposito della base militare russa di Sebastopoli, in Crimea.
Una strategia per la gestione dell’eventuale crisi energetica innescata dal contenzioso russo-ucraino, visto che il gas russo copre circa il 40 per cento del fabbisogno del mercato Ue, dovrebbe essere delineata dai Paesi europei a partire da mercoledì. Il gasdotto della discordia – che ai tempi delle «Repubbliche sorelle» aveva il rassicurante nome di Durzhba, amicizia - ospita cinque tubi attraverso i quali transita il metano siberiano. E tre di questi servono i mercati europei.

Gazprom, che da ieri ha tagliato di 120 milioni di metri cubi al giorno il gas diretto all’Ucraina, sostiene che l’Europa non dovrebbe risentire dei tagli. È vero il contrario, cominciano invece a segnalare dalla Polonia, dove già si registrano abbassamenti nella pressione del flusso di gas.

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