Chiede «la conquista di Tbilisi», mette il presidente georgiano Saakashvili di fronte a due opzioni: «O si consegna ai russi per farsi processare o deve morire». Alexander Dugin è il leader del movimento Eurasia, uno dei gruppi che sostiene la politica di ritrovato orgoglio nazionalistico. Conosce bene Putin, oggi primo ministro, che ascolta volentieri i suoi consigli. Dugin incarna, anche fisicamente, il prototipo dell’intellettuale russo. È alto, magro, ha gli occhi azzurri e si è fatto crescere la barba lunga, alla Solgenitsin. Porta sempre un voluminoso revolver, che esibisce alla cinta. La settimana scorsa era in Ossezia del Sud e oggi è in stretto contatto con i leader della regione secessionista. Su quel conflitto ha idee chiarissime (e bellicose), come dimostra in questa intervista concessa al Giornale.
La Russia non sta esagerando nell’Ossezia del Sud?
«Niente affatto, dovevamo intervenire, perché l’esercito georgiano ha aperto il fuoco sui nostri caschi blu, ma soprattutto perché conduce una politica di genocidio verso gli osseti. Hanno bombardato i civili, provocando almeno duemila morti e trentamila profughi, hanno fatto pulizia etnica nei villaggi. Non potevamo rimanere indifferenti».
Ma ora i georgiani si stanno ritirando, non basta?
«Assolutamente no. È stato il presidente della Georgia a cominciare questa crisi. È un nuovo Hitler, perché ha attaccato popolazioni innocenti e non armate. Era nostro dovere fermarlo per non ripetere gli errori della storia. Non c’è che una soluzione: conquistare Tbilisi e riportarla sotto il nostro controllo».
Eppure Saakashvili è stato eletto democraticamente...
«Guida un regime criminale, paragonabile ad Al Qaida o alla Germania nazista. Era da decenni che non si assisteva a un genocidio di queste dimensioni. Di fronte a sé ha due opzioni: o si consegna ai russi e accetta di farsi processare a Mosca oppure deve morire».
Eppure anche i russi sono intervenuti in Cecenia e non certo con i guanti. Lui no e voi sì?
«I massacri contro i civili in Ossezia del Sud sono documentati, mentre il nostro intervento in Cecenia era mirato contro i terroristi, non contro la popolazione civile. Qui i georgiani vogliono annientare un popolo».
Ma ora il conflitto rischia di allargarsi. Dopo la Georgia toccherà all’Ucraina?
«Sì, perché il governo ucraino si sta comportando allo stesso modo di quello georgiano. Ha riabilitato i nazisti ucraini, perseguita i russi ortodossi e appoggia Tbilisi nel genocidio nell’Ossezia del Sud. Ha addirittura mandato lì dei soldati, mentre al fianco degli osseti del sud ci sono volontari ucraini. Così non si può andare avanti».
Dunque guerra anche in Ucraina?
«La situazione lì è molto seria e la crisi sta per esplodere. Ci sono due popoli con due opzioni geopolitiche, due visioni del futuro. Da una parte i russofoni che hanno come riferimento il Cremlino, la religione ortodossa, l’Eurasia. Dall’altra gli ucraini che guardano agli Stati Uniti, all’Occidente, alla Nato. I primi stanno con gli osseti, i secondi con i georgiani. Come può il Paese rimanere unito? Le divisioni in Ucraina sono gravi, profonde, irreparabili».
Ma questo rischia di destabilizzare tutta la regione, non è preoccupato?
«Ribadisco non siamo stati noi ad iniziare questo processo.
Che lei sappia, il Cremlino condivide le sue opinioni?
«Io parlo per me, ma credo che in questo momento un’ampia maggioranza dei poteri russi la pensi allo stesso modo».
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