Altro che Pierfurby, stavolta il rutelliano sembra aver beffato tutti. Più furbo di Casini, più lesto dei casiniani milanesi e dell«orso bergamasco» Savino Pezzotta, più veloce dei finiani o di quel che ne rimane.
Lipotesi di un ingresso di Bruno Tabacci nella giunta rossa di Giuliano Pisapia è una sorpresa. Non si tratta solo uninfornata politica a sinistra - è nota la teoria dei due forni: si compra il pane dove al momento conviene. No, è molto di più: è un colpo di acceleratore, una svolta, un ribaltone. E, dal punto di vista politico, è unimprovvisa sconfessione del Terzo polo e della sua linea, per la verità piuttosto fragile e non fortunatissima dal punto di vista elettorale a Milano.
Certo, il buon Bruno ha il suo carattere, le sue idee, ha una storia particolare, e ora vuol fare lassessore a Milano. Anche se non ne avrebbe bisogno: è stato presidente della Regione, presidente di commissione alla Camera, ed è pur sempre il numero due della piccola Alleanza per lItalia. Lassessorato a Palazzo Marino con una giunta di sinistra non è proprio il coronamento di una carriera, insomma. Però gli sta cuore partecipare a questo «esperimento», e lo ha fatto capire in tutti i modi, anche in campagna elettorale, prima evocando poi dichiarando espressamente il suo sostegno per il candidato del centrosinistra, Giuliano Pisapia appunto, che ha mostrato di preferire nettamente a Letizia Moratti, soprattutto dopo che il primo turno aveva dato il suo verdetto, difficile da sovvertire.
Ma alla fine sempre di politica si tratta. E lo conferma Tabacci stesso quando parla di un «modello», non di una scelta personale. Qualcuno allora dovrebbe spiegare cosè cambiato, e come si è passati da Milano a Macerata. Perché il Terzo polo ha detto e ridetto «né, né», vale a dire «né con Letizia né con Giuliano», cioè «né col Pdl né con la sinistra», o ancora «né con Berlusconi né con la nuova Unione».
Il problema è tutto politico: Casini e Fini, con i loro epigoni locali, hanno assicurato che a loro non interessava in alcun modo una riedizione dellUnione, la «tragica» alleanza che nel 2006 ha messo insieme Fausto Bertinotti e Clemente Mastella, Paolo Ferrero e Lamberto Dini, con gli esiti infausti che sappiamo. Udc e Fli non volevano salire sulla «macchinina da guerra» di Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro.
Le elezioni di Milano, non quelle marchigiane, erano il caso politico nazionale. Lo erano a tal punto che gli uomini dellUdc, per coerenza, hanno rinunciato a un posto nella giunta Moratti e lo hanno fatto - va dato atto - quando una vittoria del centrodestra era considerato più che probabile. E la linea dei casiniani ha scontentato tanti dentro il partito, dallassessore uscente, Gianni Verga, a quello potenzialmente entrante, Pasquale Salvatore.
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