Roma«Subito e con dolore», Francesco Rutelli traversa il Rubicone. «Lascio il Pd», annuncia, perché come ha scritto nel suo libro è un «partito mai nato», e comunque «non il mio». Tanto più dopo la vittoria di Pierluigi Bersani, che secondo lex leader della Margherita piega troppo «a sinistra» lidentità del Pd. Non gli sono piaciute «quelle file organizzate di pensionati Cgil alle primarie», quel ritorno al «collateralismo» e alle «cinghie di trasmissione» tra partito e corpi sociali, sindacato in particolare. E tanto meno ladesione al gruppo Pse in Europa. Le ragioni per cui questo Pd non gli piace le ha spiegate in lungo e in largo, in questi mesi, ancor prima di un congresso in cui si era schierato senza entusiasmo con Dario Franceschini, ma il cui esito dava per scontato. Ora, dice, vuol lavorare ad un progetto che «cambi lattuale offerta politica», guardando a quel centro che il Pd non ha saputo conquistare, e Pier Ferdinando Casini è «un interlocutore essenziale».
Essenziale ma per ora molto cauto, a sentire i suoi anche un po scettico. Il leader Udc dice che laddio di Rutelli al Pd è una «cosa positiva», che insieme si può fare un «percorso comune», lo accoglie a un convegno e motteggia: «Dobbiamo raddoppiare i voti, se no è un insuccesso». Sa anche lui che i tempi del distacco, in realtà, avrebbero dovuto essere diversi: Rutelli aveva messo in conto almeno qualche settimana in più di lavoro sotto traccia, per allargare il consenso attorno al suo «manifesto del buon governo» e per raccogliere forze sul territorio, soprattutto nel Nord e grazie al lavoro del presidente della provincia di Trento Lorenzo Dellai. Gli serviva tempo per convincere gli insoddisfatti e gli scontenti nelle file del centrosinistra, Pd innanzitutto, a seguirlo; e per aprirsi qualche varco anche verso il centrodestra: fonti del Pdl danno ad esempio per probabile ladesione di Marcello Pera e Beppe Pisanu alliniziativa. Lobiettivo iniziale era la costituzione di un nuovo gruppo parlamentare, dieci senatori e venti deputati, da portare in dote nel fidanzamento con lUdc.
Invece, per colpa di Bruno Vespa, le cose sono improvvisamente precipitate: il giorno dopo le primarie, il conduttore di Porta a Porta (per vendicarsi del no al suo contratto Rai dato dallex rutelliano in Cda Rizzo Nervo, dicono i maligni) ha deciso di buttare in pasto alla stampa, come prima anticipazione del suo nuovo libro, proprio quella frasetta di Rutelli: «Andrò con Casini, ma non subito e non da solo». Il caso è scoppiato, la caccia ai possibili parlamentari rutelliani è scattata e in molti si son tirati indietro. Il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e quello di Firenze Matteo Renzi, la teodem Binetti, e svariati parlamentari filo-Rutelli del Pd dicono di voler restare nel partito.
Gli uomini di Casini mettono le mani avanti: «Benissimo se si lavora insieme, e non abbiamo fatto nessuna obiezione al coinvolgimento di nostri eletti come Bruno Tabacci e Savino Pezzotta nelle sue iniziative. Ma non possiamo certo essere noi a fornirgli truppe per fare un gruppo parlamentare». Sul fronte delle alleanze, intanto, è Casini in prima persona a sparare a zero sugli ex alleati della Lega, che «erode lunità nazionale», e annuncia: «Alle Regionali non sosterremo mai un candidato governatore del Carroccio».
Il colloquio con DAlema, laltro giorno, ha fatto capire a Rutelli che restare con un piede sulla porta diventava difficile, e la brusca risposta di Bersani a chi gli chiedeva quando avrebbe parlato col dissenziente («Io parlo al partito, allassemblea del 7 novembre») ha chiarito che il segretario non aveva alcuna intenzione di trattenerlo o di offrirgli un riconoscimento politico. Dunque, lex leader della Margherita ha traversato il guado, e ieri si è presentato al convegno Udc accolto da un sorridente Casini che gli ha scherzosamente proposto di andare insieme a prendere un caffè con DAlema, avvistato in un bar poco distante.
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