Più d’uno aveva lamentato, nei giorni scorsi, che questa campagna elettorale apparisse povera di contenuti e che il dibattito preferisse occuparsi di risvolti frivoli piuttosto che dei grandi problemi incombenti sull’Italia. Particolarmente severi erano, in questa diagnosi, alcuni esponenti della sinistra pensosa. Ma proprio per merito dei guru progressisti la politica è riuscita a recuperare, prima del black-out propagandistico, nobiltà d’intenti e d’accenti. Un tema fondamentale è emerso, e s’è imposto a futilità come il declino economico del Paese, l’immigrazione extracomunitaria, il rincaro dell’euro, la riforma della giustizia. Quel tema ha nome Totti.
Sapete già che nel comizio berlusconiano del Colosseo un ragazzo aveva ricordato come Totti figurasse in un manifesto di sostegno a Francesco Rutelli, candidato sindaco di Roma. «Quando uno non ci sta con la testa non ci sta» aveva commentato il Cavaliere. La battuta, magari non di prima qualità ma scherzosa, è stata presa tremendamente sul serio da personaggi cui sembra non importare un fico secco che si faccia o non si faccia la Tav, che il petrolio e il pane rincarino. Aggrottata la fronte Walter Veltroni ha affermato che «per fortuna in questo Paese c’è ancora libertà d’espressione e di coscienza», che c’è qualcosa di inquietante nelle parole di Berlusconi.
Con un apposito comunicato Massimo D’Alema ha espresso solidarietà al cittadino Totti. Innumerevoli gli altri interventi indignati, accorati, non di rado stralunati. Voglio citare, in omaggio all’anzianità, Giulio Andreotti. Secondo lui «Berlusconi è andato in fuorigiuoco... La mia vecchia regola è questa: ognuno dovrebbe farsi i fatti propri». Nel divampare del «caso» Totti è stato ovviamente coinvolto anche il Cavaliere, che aveva dato fuoco alla miccia e che ha replicato alla sua maniera: ricordando d’avere per il campione della Roma ammirazione e amicizia. Quanto al manifesto pro Rutelli, ha aggiunto che «i signori della sinistra che si vergognano della loro faccia usano dei testimonial al loro posto».
La destra non ha taciuto, di fronte all’attacco. Storace, veloce nella controffensiva, ha rammentato che «nella nostra lista abbiamo il figlio di Falcao»: non solo un nome ma una dinastia. Voglio confessare a questo punto la mia preferenza per quanto ha detto Roberto Maroni: «Siamo alla politica dei nani e delle ballerine, e adesso dei giocatori e anche magari delle veline».
Cala il sipario sulla drammatica vicenda di Totti, e sulla gravità dell’offesa che gli è stata arrecata. Si alza il sipario su un intermezzo leggero, le elezioni.
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