Sì al federalismo ma non tangentizio

Non è che abbiamo sbagliato bersaglio, ostinandoci a indicare le dissipazioni, il malaffare, l’arraffa arraffa del Palazzo romano? Non lo credo proprio. Il potere centrale meritava - soprattutto nelle sue massime e più solenni sedi - tutte le accuse che gli sono state rivolte. Il Quirinale, il Parlamento, Palazzo Chigi e via dicendo si sono distinti, da decenni, per una insana voluttà della spesa abbinata ad una sua prevalente inutilità o inefficacia. Ma, impegnati a puntare il fucile contro il potere centrale abbiamo forse se non dimenticato, almeno un po’ trascurato il potere periferico. Che invece si mette in evidenza, negli ultimi giorni, con un affiorare di piccoli o meno piccoli scandali.
Enti e amministrazioni locali di varie regioni e città figurano in questa rassegna delle fogne. Così Genova, dove è deflagrato lo scandalo più vistoso, coinvolgente stretti collaboratori del sindaco Marta Vincenzi (ma vi sono anche sospetti di voto di scambio su esponenti politici in qualche modo legati alle cosche calabresi); così Pescara dove il braccio destro del sindaco Pd, ora dimissionario, è agli arresti domiciliari per concussione; così Livorno, dove dirigenti dell’autorità portuale vengono indagati per avere addebitato all’ente da loro guidato le spese di quadri, gioielli, massaggi; così Moncalieri con voto di scambio, e Ivrea con mazzette per evitare controlli su un farmaco, e Giugliano, Comune presso Napoli, con l’arresto in massa di vigili già disposti a chiudere un occhio su abusi edilizi.
Non m’interessa più di tanto lo stabilire a quale parte politica appartengano gli inquisiti (sono in prevalenza di centrosinistra ma, ripeto, non è questo il punto). M’interessa invece di constatare che lontano dalla Roma ladrona si profilano la Genova ladrona, la Pescara ladrona e via dicendo; e che insomma il cancro della corruzione è sempre presente e operante a tutti i livelli. Il che deve molto preoccuparci per almeno un paio di motivi.
1) L’indirizzo politico e amministrativo prevalente è, anche per impulso della Lega, quello del federalismo. Si proclama che, allontanandola dalla capitale, la gestione della spesa sarà più vicina al popolo e meglio controllata dal popolo. Già mi preoccupa che non siano forniti conti precisi, che non si spieghi come sarà evitato che il decentramento diventi una duplicazione, con spese e personale accresciuti. Ma se poi risulta che la lontananza dal controllo centrale - per quanto macchinoso, lento e miope sia - si risolve in una luce verde alle malversazioni, quello del federalismo rischia di diventare, anziché un obbiettivo, un incubo.
2) Il personale cui gli schieramenti politici affidano il compito, di importanza vitale per il futuro d’Italia, di amministrare le periferie del Paese è in troppi casi inadeguato al ruolo. O per un’operatività inadeguata o per un eccesso di operatività, ma di tipo tangentizio. Ci sono evidenti errori nella selezione degli amministratori locali, o nelle candidature, o magari - può succedere - nelle scelte dell’elettorato. Per le decisioni delle urne non si può fare nulla tranne forse lamentare una scarsa informazione degli elettori. Ma per il resto tocca ai partiti di provvedere. La sfida in cui sono impegnati è immane: devono riformare se stessi, e devono riformare le loro propaggini locali.

Automoralizzarsi è difficile, l’idea d’un Parlamento che applichi cure severe a se stesso appare molto difficoltosa se non utopistica. Ma almeno, se non gli riesce con se stesso, che riesca a moralizzare gli esterni. Federalizzare sta bene, purché non si federalizzi il fango.
Mario Cervi

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