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«Sì, ho vissuto al massimo Sopravvivo con la minima»

A 82 anni il «cantante del saltino» ricorda i tanti sbagli: «Sono un genovese strano, ho sprecato il patrimonio. Ma sono stato popolare come Baglioni»

«Sì, ho vissuto al massimo Sopravvivo con la minima»

L’Atlantic andava per mari e Rino, cantando, faceva perdere la testa a chissà quante donne: «Tante, troppe, mi mangiavano. Pensavano fossi un francesino, parlavo tre lingue». Era finita la guerra, erano finiti i sacchi di carbone, Rino Sentieri, in arte Joe, ricorda: «Mio padre vendeva carbone. Io a vent’anni andavo con il camion per i monti sopra Genova, là facevano il carbone, caricavo da solo i sacchi, ottanta chili sulle spalle e da solo li scaricavo davanti al negozio. A scuola mi fermai alla quinta elementare, 3 in canto, 3 in musica, 4 in disegno. Suonavo la fisarmonica, nelle strade del basso porto, portavo a casa i soldi giusti per vivere». Oggi Joe Sentieri ha ottantadue anni, ha finito di andar per mari, di caricarsi sulle spalle il carbone, ha finito di cantare sul palcoscenico «Solo per gli amici, il mio repertorio ma con un brano in più, Spalle al muro, come me non la canta nessuno». Ha finito anche i denari, tanti, troppi, come le donne che lo hanno amato: «Vivo con la pensione minima, 700 euro, devo ringraziare Berlusconi per quella proposta del vitalizio, mille euro al mese, secondo la legge Bacchelli. Sono disoccupato, nullatenente, disgraziato». E ride pure, dicendo queste cose, dalla sua casa di Pescara dove ha messo cuore e ricordi, accanto a Dora che gli ha regalato amore: «Conservo tre tastiere, oltre duecento premi, i dischi della mia vita e i quadri che ho dipinto».
Riscalda i pensieri, vivissimi con la voce che non è cambiata dai tempi di Quando vien la sera, i giorni del saltino: «Quello del saltino! Ma io so anche cantare. Eppure quel saltino mi fece fare tanti di quei soldi».
Soldi, svaniti, bruciati: «Sono un genovese strano, ho sprecato il patrimonio. Spesi 40 milioni per un terreno a Rapallo, avrei voluto costruire quattro palazzine. Un anno e mezzo dopo arrivò l’autostrada su quei miei cinquemila metri di terra, imposero la cifra, 16 milioni, prendere o lasciare, fu un buco enorme. Poi un negozio di dischi andato malissimo, un albergo il Country club sulle colline di Genova».
Il salto ma nel buio, dopo la luce forte di una carriera bellissima: «Incominciata con la fisarmonica per strada, poi un armatore greco, sembrava un tricheco, mi venne a sentire in un locale di Genova il Capanno del Selvatico, cantavo Come pioveva e l’Eulalia Torricelli, mi offrì di salire a bordo delle sue navi. Bei soldi. Partii, da Genova verso New York, un bastimento carico di emigranti, a volte andavamo in Canada. Poi ci regalavamo una vacanza in Giamaica o Curacao. In meno di sei mesi diventai direttore di orchestre, sì, tre orchestre, di prima, seconda e terza classe. Una sera una signora bellissima, si chiamava Marano, rimase incantata, mi chiese di seguirla a New York. Mise 20mila dollari a disposizione per il mio lancio, una volta in America venne fuori una storia cattiva. Cantavo nei migliori locali, il Blu Angel, l’Hotel Plaza, il Pierre e poi tanta televisione. In America o sai cantare oppure lavi i piatti, in Italia noi eravamo gli urlatori oggi ci sono gli strillatori. A New York, dicevo, mi chiesero di divorziare da mia moglie, Maria, per sposare un’attricetta americana e combinare lo scoop. Ci dormii male, decisi di fuggire, con venti dollari in tasca e cinque vestiti in valigia, salii sulla nave e al Pierre Hotel mi aspettano ancora». Venne il Sudamerica: «Qui feci il pazzo, Cile, Perù, Argentina. Cantavo una canzone che si intitolava Striptease, mi strappavo la camicia, ne distrussi 3mila, sì tremila tra l’entusiasmo del pubblico». E quella volta a Verona? «Cantai Milioni di scintille e il pubblico dell’Arena accese fiammiferi e accendini, come trent’anni dopo ai concerti di Baglioni». Giorni belli, Sentieri cambiò da Rino a Joe: «L’idea fu di Carlo Alberto Rossi, scrisse Quando vien la sera. Fu la svolta. Vinsi Canzonissima con Piove». Non citare il cognome di Modugno, Sentieri s’avvampa: «Era un tipaccio, mi impedì di interpretare Libero al festival, poi venne da me piagnucolando e disse: "Ah se l’avessi cantata tu". Dove andavo vincevo, c’erano invidie nei miei confronti, una cantante famosa si augurò la mia morte. Girai anche qualche film musicarello e il Carosello per il Nescafè. Guadagnavo 350mila a sera e l’anno era pieno di impegni». Vennero poi l’autostrada, il negozio di dischi, vennero i giorni dell’impegno: «Io non sono di sinistra, restai fuori dal giro, me lo dicevano in faccia, non sei dei nostri, zero. Furono momenti di buio assoluto. La Rai mi voleva in un’ammucchiata domenicale, dietro la Venier, c’erano tanti soldi ma io non sono un pagliaccio, rifiutai, io canto ma non scrollo il sedere per fare spettacolo. Si deve avere dignità».
A Sanremo la terza età ha avuto successo: «Dorelli un fenomeno, ha cantato come si deve cantare. Milva aveva una grande canzone ma mi è sembrata datata lei e ad Al Bano direi basta, per favore, non mi è mai piaciuto, figuratevi oggi. Bravo Cristicchi, bravo Moro e quello di Pescara, Mazzocchetti. Il mio preferito resta Lucio Dalla, sa fare cose diverse e di alta classe». Il suo favorito era Umberto Bindi, fu Rino non ancora Joe a scoprirlo: «Veniva a casa mia, in corso De Stefanis, per mangiare le trenette con il pesto cucinate da Maria.

Intuii le sue doti, lo presentai a Giorgio Calabrese, sicuro che avrebbe fatto strada. Così fu. Si ricordi che avere una voce è dono della natura, saper cantare è dono di Dio. Cantare anche le pause». E, così dicendo, la sua voce antica si piega appena, quando vien la sera.

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