Saab, i troppi debiti affondano il marchio

Nei giorni scorsi Saab ha comunicato che non prenderà parte al Salone internazionale dell’auto di Francoforte, a metà settembre, una decisione che riflette la profonda crisi della marca svedese nei confronti della quale l’Agenzia del credito di Stoccolma aprirà la prossima settimana una procedura investigativa.
La produzione, nello stabilimento di Trollhättan, dove la Svenska Aeroplan Aktiebolaget è stata fondata nel 1937, è sospesa da oltre quattro mesi e la maggior parte dei 3.800 addetti non ha ricevuto lo stipendio in giugno e luglio, mentre l’accordo con i fornitori (alcuni dei quali, come la norvegese Kongsberg che produce i sedili delle Saab, vantano crediti per centinaia di milioni di euro) è lontano dall’essere raggiunto. Da giugno, a gestire Saab Automobile è la società di diritto olandese Swedish Automobiles Nb (Swan) fondata da Victor Muller, l’uomo d’affari già patron della Spyker (oggi ceduta), che rilevò la marca scandinava in gennaio 2010 dalla General Motors in piena bancarotta pilotata. Dopo vent’anni (l’acquisto della prima tranche di Saab dalla famiglia Wallenberg risale al 1990) il colosso di Detroit, divenuto proprietario del 100% di Saab all’inizio del 2000, gettò allora definitivamente la spugna senza essere mai riuscito a elaborare una strategia precisa per il brand svedese. Impressionante è il declino delle vendite delle sportive svedesi negli ultimi cinque anni: dalle oltre 120mila unità del 2006 alle 28mila dello scorso anno, un trend che il team di Muller è ancora convinto di poter invertire, in parte confortato dagli 11mila ordini in portafoglio, concentrati soprattutto sulle nuove 9-5 Berlina e Wagon. I fedelissimi, gli appassionati del brand che ha le sue radici nell’aeronautica, in ogni parte del mondo sono ancora numerosi, ma è difficile prevedere quanti di loro siano ancora disposti ad attendere la ripresa della produzione. Victor Muller continua a trovare nuovi investitori, in Cina e in Svezia (le autorità scandinave hanno autorizzato la vendita degli immobili di Saab che li tratterrebbe in leasing), ma per poter saldare i creditori (tra i quali anche il fisco) e dare fiducia ai fornitori, il tycoon olandese ha tuttora bisogno dell’apporto del miliardario russo Vladimir Antonov, personaggio molto discusso che non ha finora trovato il gradimento della Banca europea di investimenti e del ministero del Tesoro svedese dopo aver rischiato di far saltare, a suo tempo, il passaggio di Saab a Muller.
Si salverà la Saab? Con queste premesse la domanda è lecita, e il rischio che la casa di Trollhättan possa scomparire dal panorama automobilistico è molto forte. Difficilmente potrebbe sopravvivere il marchio perché non è immaginabile che vetture Saab vengano prodotte soltanto lontano dalla terra d’origine, quella che dà valore al brand. Chiusa l’attività industriale (ma prima che questo accada è chiaro che il governo di Stoccolma tenterà qualcosa in extremis), Saab sarebbe il primo marchio storico dell’automobile a uscire di scena dopo Oldsmobile e Pontiac chiuse da General Motors nel 2007, la prima (dopo 107 anni di attività e quasi 40 milioni di auto prodotte) e nel 2010 la seconda. Ma Saab potrebbe anche diventare un marchio «quiescente», da mettere nel forziere di qualche gruppo europeo in attesa di tempi migliori o per creare nuove linee di prodotto. Simca, per esempio, ha cessato l’attività nel 1978, ma il marchio, di proprietà di Psa, potrebbe ricomparire per individuare una futura linea low cost del gruppo francese.

L’inglese Triumph è invece patrimonio di Bmw, dove è entrato nel 2000 insieme a Mini dopo lo scorporo della Rover, oggi controllata dai cinesi di Saic che utilizzano il mitico brand Mg e sono titolari anche di quello della Austin.

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