Sacrificio senza clamore

Eroi semplici nella tradizione di Salvo D’Acquisto. Eroi umili che svolgono il loro lavoro senza esibizionismi, senza enfasi. Eroi che vivono le loro quotidiane incombenze con dedizione e passione, senza che per questo si accendano sulle loro giornate, sempre rischiose e drammatiche, i riflettori della cronaca. Di questi eroi c’è un grande bisogno nell’incertezza del nostro tempo in cui domina un comodo relativismo dei valori, facile da usare perché rende tutto soggettivo, tutto individualistico secondo la classica regola del «per me questo è importante, quello non lo è; per me questo è giusto, quello non lo è». E così ognuno si sente legittimato a comportarsi come meglio crede, il che significa: come meglio gli conviene.
Abbiamo invece bisogno di comportamenti esemplari che sono luci tra le ombre dell’incertezza. Di questi eroi semplici generalmente non si parla perché non colpiscono l’immaginazione, perché non evocano scelte grandiose di cui supponiamo capaci solo persone eccezionali. I nostri libri di scuola ci insegnano la storia proprio attraverso le azioni di personaggi mitici che sembrano abitare in un altro pianeta, figure irraggiungibili, ineguagliabili da chi vive sulla terra come un comune mortale.
Il nostro modo di studiare, e anche di immaginarci questi personaggi che hanno segnato il cammino della storia, ci suggerisce l’idea che il gesto eroico sia sempre legato alla retorica della grande battaglia, della straordinaria impresa individuale. Diventa allora facile costruire un’antiretorica antimilitarista che condanna l’eroismo proprio perché questo appare l’espressione più evidente ed enfatica di un mondo non pacificato che avrebbe ancora bisogno del sangue degli uomini per stabilire le proprie regole di convivenza. Felice sarebbe, perciò, quel popolo che non ha bisogno di eroi perché sa rinunciare alle guerre, perché non ha bisogno di gesti violenti e unici per tracciare il cammino della propria storia.
Certo, sarebbe felice quel popolo se nel mondo ci fosse una pace sorella della giustizia, vissuta nella democrazia e nel rispetto dei diritti civili degli uomini. Ma questo non accade. La pace chiede impegno, lavoro giornaliero spesso oscuro, poco conosciuto. Impegno, lavoro, dedizione, sacrificio, lontananza dagli affetti e dalla propria casa: qui, in questa realtà non celebrata dai libri di storia, sorge l’eroismo della vita quotidiana.
Chi sono i martiri che dall’Irak tornano in patria dentro una bara, avvolta dalla bandiera nazionale? Carabinieri, soldati che lavoravano per la pace in una terra prima brutalmente soggiogata dal tiranno Saddam, poi insanguinata da guerre di religione, da lotte di fazione. La retorica antimilitarista e falsa pacifista non sa riconoscere il lavoro di soldati che assicurano il cibo ai bambini, che costruiscono case, strade, acquedotti. Non sa apprezzare questo impegno civile per la pace perché in esso non c’è enfasi, arroganza, esibizione, perché non c’è quella retorica tanto amata dal becero fanatismo dei falsi pacifisti.
Ci ricordiamo che esiste un eroismo della vita quotidiana, silenzioso, sobrio, senza il clamore della cronaca e dei dibattiti televisivi, quando accade ciò che è assolutamente possibile e prevedibile, anche se drammaticamente non evitabile. Una bomba fa saltare una camionetta, e tre vite vengono recise. Commossi, accogliamo con i più alti onori tre nostri soldati che, lontano dalle loro case, dalla loro terra, lavoravano per rendere la vita dei bambini, degli anziani, di tutta la popolazione irachena meno ostile e meno faticosa.

Tornano tra noi tre eroi semplici, che hanno accettato il sacrifico senza clamore, ma con quell’umiltà e con quel senso del dovere di cui noi abbiamo un grande bisogno per capire quali siano i valori autentici che uniscono e guidano una nazione.

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