
Venticinque anni senza Marzio Tremaglia. «Credo nei valori del radicamento, della identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni più alte e diverse. Penso che l'apertura al sacro e al bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione etica della vita che si riassume nel senso dell'onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà, per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà». Per chi ha la fortuna di ricordarlo e per chi non ha avuto la buona sorte di conoscerlo, in questi giorni sono cinque lustri che Marzio Tremaglia non c'è più. Portato via alla vigilia di Pasqua da un male crudele che lo strappò alla famiglia e a quell'assessorato alla Cultura rimasto nella storia, non ha solo lasciato un vuoto enorme nella comunità della destra, ma a tutta la politica di cui incarnava la nobiltà che anche (anzi forse soprattutto) gli avversari gli hanno sempre riconosciuto.
Un uomo che, insieme a un altro giovanissimo andato via troppo presto come Nicola Pasetto, avrebbe potuto cambiare il volto della destra nel Paese. Anticipando passaggi e sdoganando valori che, senza di loro, hanno avuto bisogno di molti più anni per vedere la luce. E diventare governo.
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