Tre lampi a Wimbledon. Tre, come i set con cui Marat Safin ha liquidato Novak Djokovic commentando: «Non ricordavo neanche la mia ultima grande vittoria. Ero pronto a tornarmene a casa, so che ogni giorno cè un aereo alle 20.30 per la Russia... Poco male, cambierò prenotazione». Non è giusto parlare del ritorno del talento incompiuto: Safin potrebbe smentirci già nel prossimo turno contro il nostro Andreas Seppi. È più corretto ringraziarlo per averci concesso una volta ancora di ammirare il suo immenso talento che troppo spesso ci ha nascosto.
Marat non si preoccupa troppo della continuità, piuttosto cerca di non sprecare il suo tempo. Sa di essere considerato un fenomeno sprecato, sa che non potrà mai ridiventare il numero uno al mondo. Lo sa, e gli piace. Perché a lui interessa soprattutto godersi la vita, non certo impersonare la figura dello sportivo professionale. Ama ripetere «quando guardo lorologio, osservo le lancette: ogni giro che fanno, sono sempre più vicino alla morte. Perciò devo vivere intensamente ogni minuto della vita».
Il successo lha già conosciuto, otto anni fa: aveva solo ventanni, ma guardava tutti gli altri dallalto della classifica Atp. È stato così per nove settimane (senza il mezzo). Pete Sampras era crollato sotto i suoi colpi allUS Open e tutti credevano di avere trovato la nuova stella del tennis. Forse ci credeva anche lui, che proprio in quel periodo iniziò a inaugurare il valzer di quelle che poi verranno conosciute come le «Safinette»: gentili accompagnatrici del bel Marat, sia di giorno che (soprattutto) di notte. Spesso giocava match dopo aver passato la notte in discoteca con allattivo un paio dore di sonno. E li vinceva anche. Ma, più passava il tempo, più il saldo diventava passivo. Tanto che la sua posizione nel ranking Atp assomigliava a una montagna. Russa, ovviamente.
E, nel momento il cui la stella sportiva declinava, nasceva la leggenda: lultimo personaggio del circuito capace di far rivivere i Panatta e i Nastase. A Safin tutto questo va bene e, anche per questo, la gente (non solo di sesso femminile) lo ama. Ivanisevic lo ha nominato suo erede nel «lancio della racchetta». Ci ha regalato anche alcune perle come «Le donne più sono belle più chiedono soldi», «A Madrid cè chi perde al primo turno perché passa il tempo a chiedere il numero di telefono alle modelle raccattapalle» o «Ci sono tornei, come Cincinnati e Montreal, dove gli appassionati non sanno nemmeno chi sono. Mi chiedono sempre: Scusi lei chi è? E io rispondo sempre: Roger Federer».
Lanno scorso, convocato dalla Russia per la Coppa Davis, ha risposto no. Tradimento. Ma Marat aveva una cosa più importante da fare: scalare lHimalaya. Gli serviva per staccare dal tennis, convinto che lesperienza lo avrebbe aiutato a ridiventare il numero uno del mondo. Stiamo ancora aspettando e forse i tre lampi a Wimbledon di ieri sono un presagio. In realtà poco importa, sarebbe già bello rivederlo in semifinale contro Federer. Come nel magico 2005 agli Australian Open: quello sì, un derby tra numeri uno. Che vinse Safin.
Risultati di ieri Uomini: Safin (Rus)-Djokovic (Ser) 6-4, 7-6, 6-2; Federer (Svi)-Soderling (Sve) 6-3, 6-5, 7-6; Seppi (Ita)-Serra (Fra) 6-3, 6-7, 6-2, 6-7, 6-4; Bolelli (Ita)-Gonzalez (Chi) 7-6, 7-6, 3-6, 7-6. Donne: Ivanovic (Ser)-Dechy (Fra) 6-7, 7-6, 10-8; Medina Garrigues (Spa)-Schiavone (Ita) 6-3, 5-7, 7-9; Dementieva (Rus)-Camerin (Ita) 6-3, 6-7, 6-3.
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