Cultura e Spettacoli

La saga abruzzese di un mondo che non c'è più

Tra realismo e suggestione, «La pazzia di Dio» è un romanzo d'altri tempi che racconta la storia di una famiglia italiana rievocando sensazioni e sapori di un passato oggi cancellato dalla follia di tanti uomini

Una terra che scompare, una generazione che si dissolve, un mondo che finisce e si apre in un altro mondo fatto di realtà diverse, di valori diversi. Perfino di uomini diversi. La saga dei Sarra è questo e altro ancora. È la magia di un mondo contadino che ha sapori e profumi di altri tempi. La gioia di veder nascere un rampollo in casa. La preoccupazione che tutto possa non andare per il giusto verso. La premura di rendere tutto più facile, trovare la balia migliore. E scongiurare i pericoli. Un mondo che va in frantumi dopo la Grande Guerra, quando è un insieme di elementi ad andare in crisi e a trasformare gli uomini nel cuore oltre che nelle coscienze e nelle azioni.
«La pazzia di Dio» (La Lepre edizioni, pp.302, 22 euro) è questo e molto altro ancora. È il romanzo di una generazione, ma è un pezzo di storia di tutti noi, che da ognuno di noi potrebbe essere adottata. Perché se il paesino d'Abruzzo in cui è ambientato il romanzo sembra non esistere nella realtà, tutto il resto esiste ed è esistito davvero. Nei racconti dei nostri nonni, nell'eco di un passato che oggi, nell'era di internet, del digitale e della comunità globale, sembra indietro migliaia di secoli eppure era solo ieri. E Luigi De Pascalis, autore di questo romanzo degno delle migliori tradizioni nostrane, attinge a una fonte frequentata e si inserisce in un filone che tanta parte ha avuto nella letteratura italiana del XIX secolo.
«La pazzia di Dio» è uno di quei romanzi che non si scrivono più, ma si leggono sempre con quella delicatezza d'animo che alimenta la nostalgia e la malinconia per un mondo scomparso. Cancellato da guerre e genocidi, da epidemie che sembrano voler dare un colpo di spugna al costume di una nazione più che alla sua cultura. Per questa ragione a De Pascalis va riconosciuto il merito di non aver perso di vista una realtà che sembra seppellita in un passato lontano, facendoci tornare sulla pelle i brividi di commozione per sensazioni che la vita quotidiana di questo millennio nuovo di zecca sembra non offrire più.

È come ritrovarsi nelle foto ricordo uscite dalla cassapanca dei nostri nonni, come rivedere quelle immagini ingiallite e riascoltare - d'incanto - parole che le orecchie hanno dimenticato, sommerse dai rumori di un mondo rutilante che ha messo in soffitta le suggestioni delle origini.

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