Roma«Lennesimo pretestuoso caso dagosto» è stato seppellito «definitivamente». Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha fischiato la fine del match politico-economico sulla ritorno delle gabbie salariali a quarantanni dalla loro abolizione. Il fischio dinizio laveva dato invece Bankitalia pubblicando uno studio sul divario del 16,5% tra il costo della vita al Sud e quello al Nord.
I toni, in realtà, si erano smorzati quando il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, intervistato da Sky Tg24, aveva smentito di aver formulato una proposta di tal genere. «Nessuno ha mai parlato di gabbie salariali», ha dichiarato ricordando che lo stesso ministro dellEconomia Tremonti «ha parlato di buste paga parametrate al costo della vita». Eppure la precisazione del coordinatore delle segreterie della Lega è giunta dopo che ieri il quotidiano del Carroccio La Padania aveva titolato a tutta pagina «È tempo di gabbie salariali» riaprendo una questione più volte sollevata da Bossi e dal sindacato padano.
Nel frattempo, la politica e le parti sociali erano tornate a confrontarsi sullargomento. Nonostante il clima ferragostano limpegno non è stato da «amichevole estiva». «No alle discriminazioni per legge», ha subito precisato il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. «Che senso avrebbe abbassare i salari dove i prezzi sono più bassi? Ma siamo pazzi?», ha detto il ministro della Difesa La Russa. Il presidente dei deputati pidiellini, Fabrizio Cicchitto, ha invece ricordato che «è utile per i lavoratori unarticolazione salariale al Nord e al Sud fondata su più livelli di contrattazione».
Percorso già stabilito dalla riforma siglata nello scorso gennaio tra imprese e sindacati (Cgil esclusa), auspice il governo. «I contratti aziendali o territoriali sono stati stimolati in primo luogo dalla detassazione delle parti del salario connesse a produttività e risultati dimpresa. È implicito il fatto che la contrattazione locale tiene conto del costo della vita nel contesto territoriale», ha spiegato in una nota il ministro Sacconi.
Il segretario del Pd, Dario Franceschini, tuttavia ne ha approfittato per dipingere scenari apocalittici: «Gli stipendi resterebbero immobili al Nord e calerebbero al Sud senza benefici per nessuno». Ovviamente in controtendenza lalleato-antagonista Antonio Di Pietro che, pur rifiutando le cosiddette «gabbie», si è mostrato aperto alle sollecitazioni leghiste auspicando «una diversa contrattazione tra le parti» che incentivi loccupazione nel Mezzogiorno. A tal proposito il ministro per lAttuazione del programma, Gianfranco Rotondi, ha annunciato che insedierà una «commissione Attali a costo zero» per il rilancio del Sud. Ma per Lorenzo Cesa, segretario dellUdc, che proprio nel Meridione ha il principale bacino elettorale «le gabbie salariali ci sono già e adesso servono i fatti e non lennesima boutade della Lega».
Se i politici, tuttavia, hanno dimostrato unattitudine dialogante, la stessa cosa non può dirsi delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati per i quali lespressione «gabbie salariali» sarebbe sicuramente da cancellare dal vocabolario. Il direttore del Centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, ha ribadito che «non servono, meglio i salari differenziati legati alle realtà aziendali». La Cgia di Mestre ha inoltre osservato che una differenziazione territoriale già esiste perché nel periodo 1998-2007 il reddito medio ponderato da lavoro dipendente al Nord è stato superiore del 30,3% a quello del Sud: basti confrontare i 22.800 euro della Lombardia con i 15.040 della Puglia.
LUgl attraverso il proprio centro ricerche ha fatto sapere che alcune voci del paniere dei prezzi al consumo nel Meridione sono più salate che in Padania. Senza contare che gli enti locali non vanno giù leggeri con le addizionali Irpef. «Parametrare le buste paga al costo della vita avrebbe il solo risultato di aumentare le differenze tra Nord e Sud, a svantaggio di questultimo», ha concluso il segretario generale Ugl, Renata Polverini.
Sulla stessa lunghezza donda anche i colleghi Raffaele Bonanni della Cisl («puro dirigismo degno dellUrss») e Luigi Angeletti della Uil («la politica deve abbassare le mani»). La Cgil ha rilanciato. Il segretario confederale Susanna Camusso ha evidenziato che «al Mezzogiorno non servono bassi salari, ma lavoro e politiche per il lavoro», mentre il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini ha cantato le lodi delle piattaforme «rosse» per i rinnovi contrattuali basate sugli «aumenti retributivi» a go-go.
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