Sale dal profondo dell’anima la musica che racconta Neffa

Chiusura alla grande questa sera dei concerti all’Arena del Mare

Sale dal profondo dell’anima la musica che racconta Neffa

Si chiude alla grande il ciclo dei concerti dal vivo all'Arena del Mare: questa sera salirà sul palco Neffa.
È un momento d'oro per l'artista che grazie al nuovo impegno come autore della colonna sonora originale del film «Saturno Contro» di Ferzan Ozpetek, ha vinto con il brano «Passione» (migliore «Canzone originale» di una colonna sonora) i premi cinematografici «Nastro d'Argento» e «Ciak d'Oro». Il periodo d'oro non si esaurisce, infatti, il suo nuovo singolo, «La Notte», tratto dal suo ultimo album, «Alla fine della notte», è in lizza al Festivalbar. Il brano è il suo quarto singolo che segue i successi dei precedenti, «Il mondo nuovo», «Cambierà» e «Passione».
L'intero album ha dominato l'anno radiofonico ed ha conquistato il «Disco d'Oro» con oltre cinquantamila copie vendute.
L'ultimo lavoro ha coinciso anche con il ritorno sulla scena musicale del «funk-soul brother» che è soggetto a sparizioni temporane e a ritorni folgoranti.
Tra un Festivalbar, hit in vetta alle classifiche, da quando ha iniziato se ne possono contare almeno cinque: «Aspettando il sole», «La mia signorina», «Prima di andare via», «Le ore piccole» e adesso «Il mondo nuovo»; è al tempo stesso dedito a defilarsi per periodi più o meno brevi e inspiegabili, a ripensamenti pericolosi se misurati con il metro dell'artista mainstream, eppure assolutamente naturali per lui : «Pensavo di dovermi fermare un po': ho attraversato alcuni mesi di deserto, dal punto di vista della creatività, prima di ritrovare voglia e passione, e accordi che giravano bene. A quel punto mi sono rimesso all'opera, sempre con i miei tempi, però», confessa Neffa.
La musica di Neffa rispecchia le caratteristiche della sua anima, perché, come più volte ha dichiarato l'artista, trae la propria ispirazione dalle emozioni e dalla malinconia.
«Alla fine del mondo», come suggerisce il titolo, è un disco post-crisi, di quando il peggio è passato. È un disco immaginato, pensato e scritto da un approdo sicuro, che a volte può anche essere solo quello rappresentato dall'abbraccio di chi ci è caro, ma - conoscendo Neffa - non per questo è un lavoro spensierato e leggero.
Al contrario, dall'apparente leggiadria della musica affiorano testi importanti, soltanto apparentemente riferiti a una dinamica di coppia: «La tematica che affiora da questo lavoro, e che poi è la cosa che in assoluto mi preoccupa di più, è quella relativa al conflitto tra l'umanità e la macchina, visto non solo nel suo aspetto più diretto, ma anche in un senso per così dire più astratto. Ossia la nostra sempre maggiore tendenza ad essere assimilati a delle macchine».
La musica di Neffa parla un esperanto fatto ora di radici soul-funky, ora di melodie pop, ora di armonie vocali e chitarre jingle-jangle della tradizione folk americana, ora di riff e sonorità più decisamente rock, ora di partiture d'archi, scritte, arrangiate - in alcuni casi dallo stesso Neffa - e suonate da una vera orchestra.


Ma quello che rende immediatamente riconoscibile Neffa è il suo proporsi candidamente come un alfiere della musica tout court, suonandola cioè senza alcuna pretesa di aggiornamento strategico: non ci sono campioni, batterie elettroniche, furbizie tecnologiche adatte ad «aggiornare» il suono del passato; al contrario, questo insieme di presente e passato è il suono di Neffa, la «sua» musica, o meglio, per dirla come la direbbe lui: «io sono della musica, non è lei che è mia».

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