«Salomè», l’archetipo della donna fatale

Valentina Fontana

C'è un riflettore puntato sul disagio sociale, sulle dolorose realtà che non possono dichiararsi, su quelle verità nascoste che nessuno vuole ascoltare. Arriva da una zona periferica, da un ex discarica che ora si chiama Argomm Teatro.
È una luce che si riflette su Milano, un urlo che fa eco nelle carceri accompagnando gli ex e i detenuti di San Vittore a salire sul palco, a rivelare o forse scoprire un dolore attraverso la rappresentazione. Così si muove il teatro diretto da Francesco Mazza, così la ricerca dell'Argomm esplora le diverse condizioni dell'essere, sviluppando progetti artistici, teatro di ricerca, laboratori teatrali nei quartieri, nelle scuole, nelle aree del disagio sociale, con una forte attenzione antropologica e sociologica.
In questo contesto formativo, artistico e produttivo, la stagione dell'Argomm viaggia attraverso le verità nascoste.
«Così la Clausura ispirato alla vita di suor Juana Ines de La Cruz, in scena a gennaio, - dice Mazza - in cui si svela la dolora realtà di una donna, della sua omosessualità. Così per Platea, così per Altre parole, uno spettacolo muto, fatto di musica e azioni fra una ballerina e un barbone».
Lo stesso per lo spettacolo che apre la stagione, il Salomè liberamente tratto da Oscar Wilde.
«È uno spettacolo decadente, portato all'eccesso, isterico - spiega il regista e attore Mazza -. Ho realizzato un sogno portando in scena il Salomè, per quella sua abbondanza di testo, per quella straordinaria descrizione delle piccole cose, per tutta la sua simbologia. Così la luna si carica di significati simbolici, c'è chi la vede come una donna nuda o come un faro. In Salomè c'è la possibilità di capire i vari tipi di umanità».
La figura leggendaria di Salomè, l'archetipo della donna sensuale, la "femme fatale" che in Wilde si carica di nuove valenze che sfumano il mito, con la regia di Mazza si apre a nuovi orizzonti.
«Solo quattro attori in scena - continua Mazza -, Erode, Salomè, Erodiade e Giovanni Battista. Gli altri sono tutti personaggi costruiti, burattini animati dai protagonisti in scena. Tutti sono vestiti in blue jeans e maglietta, lo spettacolo è ambientato in una discoteca. E poi ancora la scenografia di Simone Totaro, spoglia come è nostra consuetudine, con pochissimi oggetti, tutti simbolici in oro decadente».
«In uno spazio scenico essenziale - si legge nelle note di regia - la luna splende luminosa e strana, tutti i folli la guardano e la intendono a proprio piacimento. La luna fa da specchio a tutte le pulsioni e solo Erodiade conclude assolutamente: la luna è la luna e basta! Mentre Salomè asserisce che il mistero dell'amore è piú grande del mistero della morte.

Il giovane siriaco si perde nel dolore della morte per amore e il paggio di Erodiade lo piange ricordando la loro sincera amicizia, i regali scambiati e il loro amore. Iokanaan il folle, in antico dialetto catanzarese (rione Fondachello per l'esattezza) grida la verità. Solo Erode il folle, l'isterico, l'annoiato forse ha coscienza del divino... la coscienza dell'Uomo... , forse...».

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