Un salto da brivido, riuscito soltanto al Trap dei record

C’è una bella differenza tra cambiar maglia e cambiar panca. Inter e Milan ne sanno qualcosa. Con i giocatori ci puoi prendere, se va bene trovi un Ibra che ti fa grande sotto ogni latitudine. Con gli allenatori rischi di più: gli metti in mano una squadra intera. I precedenti non aiutano l’Inter. Non tanto per errori di valutazione. Piuttosto per sberleffi del destino. Leonardo è avvisato. Ad eccezione di Trapattoni, quasi mai gli allenatori milanisti, passati in nerazzurro, hanno raccolto successi da lasciare ai posteri. Tra il primo (l’ungherese Jozsef Violak) e l’ultimo (Alberto Zaccheroni) sono passati 75 anni. La differenza sta nel cammino: Violak, ungherese a cui venne italianizzato il nome in Viola, ex giocatore nerazzurro, compagno di squadra di Meazza, divenne allenatore della prima Ambrosiana e lasciò la panca dopo un poco glorioso 6° posto nel girone B del campionato a due gironi. Poi, dopo qualche tempo, fece due passaggi al Milan, e all’italianizzato Milano(1938-40) ma non lasciò segno.
Zaccheroni, come tutti gli altri tecnici, ha fatto invece il cammino inverso: passaggio prima al Milan, poi all’Inter. Con tanto di tranelli in agguato. Per esempio, nell’anno del record di gol di Angelillo, l’Inter cambia tecnico dopo 23 partite di campionato. Salta la panchina di Giuseppe Bigogno, nerazzurro dopo esser passato dieci anni prima al Milan. Vien cacciato con un ruolino nemmeno tragico: 13 partite vinte, 5 perse e 5 pareggiate. Il sostituto, Aldo Campatelli, porterà l’Inter al 3° posto, nonostante l’inaridirsi della vena di Angelillo, che segnerà solo 5 reti nelle ultime 16 partite.
Venne esonerato pure Ilario Castagner, che nel primo anno portò l’Inter alla semifinale Uefa contro il Real Madrid (Bergomi venne colpito da una biglia) e al terzo posto in campionato. Quella era l’Inter di Rummenigge. Quella seguente sbagliò gli acquisti (Fanna, Marangon e uno spento Tardelli). Castagner venne esonerato dopo dieci partite. Gigi Radice durò una sola stagione. Trattava i giocatori con la durezza di un sergente. Nell’aria di Appiano risuonava il suo grido di battaglia: «Ragazzo stai nella cesta» . E quei ragazzi non volevano stare nella cesta. L’Inter piombò all’ultimo posto della classifica, prima di risalire fino al quarto posto finale. Radice lasciò le turbolenze nerazzurre e tornò sulla panca della sua gloria antica: quella del Torino.
Dopo Castagner, toccò a Trapattoni che segnò la storia interista con uno scudetto e una squadra che lasciò impronta e pronta identificazione in ogni epoca (Matthaus e gli altri). Trap era un uomo corazzato, ma soffrì pure lui le scosse sismiche nel dna interista. Raccontava: l’Inter è come una centrifuga, dopo un po’ ti stritola. Era l’Inter di Pellegrini. Non diversa quella di Moratti. Il buon Zaccheroni si presentò al posto di Cuper. Arrivò trascinato dal ricordo dello scudetto vinto con il Milan del centenario. Buttò all’aria (con la compartecipazione di Verdelli) una qualificazione Champions, vinse 7 partite su 8 in campionato, pensò di avercela fatta ascoltando il presidente che gli parlava di rinnovo.

Facchetti si era impegnato in prima persona. E Mancini (futuro allenatore nerazzurro) in quel periodo leggeva e trasecolava: Moratti gli aveva già dato la parola. Sarebbe stato lui il nuovo allenatore nerazzurro. E così fu.

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