Coronavirus

Carenza di vitamina D e Coronavirus: esiste una connessione?

Sul quesito si sono interrogati i ricercatori del Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust e dell'Università dell'East Anglia

Carenza di vitamina D e Coronavirus: esiste una connessione?

Secondo l'Università di Harvard ne soffrirebbero a livello mondiale circa un miliardo di persone. Nota anche come ipovitaminosi D, la carenza di vitamina D è la condizione risultante dall'assenza di adeguate quantità di questo composto organico liposolubile nell'organismo. Simile per struttura chimica agli ormoni steroidei, la 'vitamina del sole' svolge funzioni molto importanti. Innanzitutto promuove l'assorbimento del calcio in sede intestinale e ne mantiene nella norma i valori ematici. Rinforza inoltre le ossa grazie alla deposizione del calcio a livello del tessuto osseo, favorendo così la sua crescita nei bambini. La molecola, infine, modula l'assorbimento intestinale di ferro, magnesio, fosfati e zinco. L'approvigionamento naturale della vitamina D avviene attraverso l'esposizione alla luce del sole che consente la conversione a livello cutaneo di uno specifico precursore. Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), infatti, ci si dovrebbe esporre ai raggi solari per almeno una mezz'ora al giorno. La sua assunzione è, altresì, l'esito di una dieta specifica ricca di alimenti quali: funghi, olio di fegato di merluzzo, pesce azzurro, burro e formaggi grassi.

Varie sono le cause della carenza di vitamina D. Il disturbo può dipendere da un apporto alimentare insufficiente, da una non adeguata esposizione al sole, da un alterato assorbimento intestinale, così come da un aumento del suo fabbisogno. Da non sottovalutare la presenza di particolari condizioni mediche come malattie epatiche e renali e l'assuzione di alcuni tipi di farmaci, ad esempio antivirali, anticonvulsionanti, glucocorticoidi. Esistono, poi, fattori di rischio in grado di favorire la comparsa dell'ipovitaminosi. Tra questi si ricordino: l'obesità, il fumo di sigaretta, l'alcolismo, l'età avanzata. Ancora la celiachia, l'allattamento al seno, la pancreatite cronica, la fibrosi cistica, i tumori del sangue. La carenza di vitamina D non solo compromette la mineralizzazione ossea (condizione questa che contribuisce alla comparsa di rachitismo e di osteoporosi), ma è anche associata ad un incremento non trascurabile del rischio cardiovascolare e di patologie come diabete, ipertensione e sindrome metabolica.

Esiste una correlazione tra la carenza di vitamina D e la maggiore probabilità di morte in caso di Coronavirus? A questa domanda ha già cercato di rispondere uno studio italiano condotto presso l'Università di Torino. Il quesito è stato ora ripreso dagli scienziati del Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust e dell'Università dell'East Anglia che, con una ricerca, hanno analizzato i livelli medi di vitamina D in 20 paesi europei, nonché i dati relativi al tasso di mortalità da Covid-19. Gli esperti hanno scoperto che il livello medio del composto organico era di circa 56 nmol/L. I valori medi negli anziani spagnoli, italiani e dei paesi nordici erano rispettivamente 26 nmol/L, 28 nmol/L e 45 nmol/L. Sotto i 30 nmol/L si può parlare di ipovitaminosi. Grazie al confronto di questi casi con il tasso di mortalità dei vari paesi, si è giunti alla conclusione che, dove i livelli di vitamina D sono 'gravemente bassi', si registrano nella popolazione anziana i maggiori tassi di mortalità da Coronavirus.

Gli studiosi ritengono, dunque, che questa vitamina svolga un ruolo protettivo.

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