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Coronavirus, medici ed infermieri lottano anche contro la depressione

Chi salva le vite rischia di ammalarsi di depressione: è questo lo studio condotto dal Prof. Cantelmi sulla salute mentale di medici ed infermieri che lottano quotidianamente con la pandemia. Lo stigma della gente tra le cause principali che porta ad ammalarsi. È stato proposto un supporto psico-sociale per tutti

Coronavirus, medici ed infermieri lottano anche contro la depressione

I postumi del Coronavirus, per medici ed infermieri, potrebbero essere anche peggiori della malattia stessa. Chi salva vite e combatte in prima linea contro la pandemia mondiale è la categoria più esposta alla depressione.

L'allarme è stato lanciato dal presidente dell'Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma Tonino Cantelmi. Insieme al Dott. Emiliano Lambiase, è coautore dello studio dal titolo "Covid-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale".

Il rischio dei camici bianchi

Come si legge su Repubblica, è allarmante la fotografia scattata da Cantelmi ma è una situazione già vissuta nei periodi di Sars o altre epimedie "che evidenziano come gli operatori sociosanitari impegnati in prima linea siano a rischio per la loro salute mentale e che nel tempo possono sviluppare un disturbo da trauma che si puo' manifestare negli anni successivi - afferma Cantelmi - il disagio si concretizza in disturbi dell'umore e reazioni ansiose connesse a frammenti di vissuti traumatici che si riattivano durante i periodi successivi".

Lo spettro della depressione

Uno studio appena pubblicato sul Journal of American Medical Association, basato su un'indagine svolta in Cina dal 29 gennaio al 3 febbraio su 1.257 operatori sanitari che hanno assistito pazienti Covid-19 mostra, purtroppo, che il 50% di essi soffre di sintomi di depressione. Subito dopo c'è chi manifesta ansia (45%), insonnia (34%) e distress (angoscia, il 71,5%).

Gli infermieri, maggiormente a contatto con i pazienti, sono esposti ad un rischio maggiore perché "sono a più diretto contatto con la sofferenza e devono esercitare costantemente la compassione mentre contengono i propri sentimenti" sottolinea lo psichiatra. In più, durante questa pandemia, moltissimi operatori socio-sanitari sperimentano un isolamento ulteriore e sono costretti a vivere per conto loro per evitare di infettare le proprie famiglie. Se da un lato vengono esaltati ed ammirati, dall'altro possono essere visti come untori dai familiari e conviventi con pesanti risvolti psicologici con la depressione la più temuta fra tutti i traumi.

Similitudini con la Sars

Un altro studio ha dimostrato come, durante l'epidemia della Sars del 2003, "gli operatori sanitari temevano di infettare la famiglia o gli amici e si sentivano stigmatizzati perché erano in stretto contatto con pazienti malati. Hanno sperimentato uno stress significativo e a lungo termine" ha affermato Cantelmi, che soffrono maggiormente lo stigma da parte della gente, l'esser visti e percepiti in maniera molto negativa.

"Circa il 20% degli operatori sanitari coinvolti nell'epidemia di Sars a Taiwan ha avvertito stigmatizzazione e rifiuto da parte del proprio vicinato - spiega Cantelmi - il 49% degli operatori sanitari durante l'epidemia di Sars ha subìto stigmatizzazione sociale a causa del proprio lavoro. Allo stesso modo, le infermiere coreane che lavorano negli ospedali con pazienti con Mers-CoV sono state messe a distanza dai loro cari (ad esempio famiglia o amici) e gli è stato vietato l'uso di ascensori nei loro palazzi, persino ai loro figli non è stato permesso di frequentare asili e scuole".

Due problematiche diverse

Per queste ragioni, gli operatori sociosanitari avrebbero immediato bisogno di un supporto psico-sociale. Gli effetti psicologici di traumi come questi, spiega Cantelmi, fanno si che "Ci sono degli operatori che, stringendo i denti, vanno avanti ma soffrono moltissimo e prentano già sintomi in acuto" che si manifesteranno nel tempo, anche "nel quinquennio successivo".

Il rischio di conseguenze psicologiche legate all'emergenza Coronavirus riguarda, però, anche i sopravvissuti ed i parenti delle vittime. "Coloro che hanno sperimentato la rianimazione, la morte in qualche modo, e poi sono chiamati a gestire il senso di sopravvivenza. Anche questi andrebbero aiutati subito - afferma lo psichiatra - i parenti delle persone decedute, invece, devono essere aiutate ad elaborare il lutto, dal momento che sono venuti meno i riti: i funerali, l'accompagnamento e la consolazione. Anche questo è un evento ulteriormente traumatico", aggiunge il presidente dell'Itci.

Supporto psico-sociale per tutti

Questa pandemia, però, lascerà pesanti eredità probabilmente in tutti noi, chi più chi meno, sia per l'isolamento ed il distanziamento sociale che per il trauma psicologico legato alla paura di infettarsi. È per questa ragione che è stato rivolto un appello a tutte le autorità affinchè attivino un "supporto psicosociale immediato a livello nazionale: innanzitutto per le categorie più a rischio, ovvero gli operatori socio-sanitari coinvolti nel Covid, i parenti delle vittime ed i sopravvissuti" e poi per tutti coloro che ne avessero bisogno "in modo gratuito. Dobbiamo costruire una rete di persone disponibili ad offrire un sostegno psicosociale", conclude Cantelmi.

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