Coronavirus

Covid, creato il nuovo atlante delle cellule polmonari colpite dal virus

La scoperta apre le porte a trattamenti in grado di ridurre le complicazioni anche nelle persone che sopravvivono a forme gravi di infezione

Covid, creato il nuovo atlante delle cellule polmonari colpite dal virus

Non si ferma la lotta contro il Covid. I ricercatori di Harvard, in collaborazione con i colleghi della Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons e dell'Herbert Irving Comprehensive Cancer Center, hanno scoperto che nei pazienti deceduti a causa dell'infezione, il coronavirus ha scatenato una tripletta dannosa di infiammazione incontrollata, distruzione diretta e ridotta rigenerazione delle cellule polmonari coinvolte nello scambio di gas. Lo studio, pubblicato sulla rivista "Nature", fornisce solidi indizi sul motivo per cui i sopravvissuti a forme gravi di Covid possono sperimentare complicazioni respiratorie a lungo termine a causa di cicatrici polmonari.

L'indagine è unica rispetto alle precedenti poiché esamina direttamente il tessuto dei polmoni, utilizzando un profilo molecolare monocellulare in grado di identificare ogni cellula in un campione tissutale e di registrare l'attività di ciascuna di esse. Si viene così a creare un vero e proprio atlante delle cellule polmonari. Il team ha esaminato i polmoni di 19 individui morti in seguito al coronavirus e sottoposti a rapida autopsia (entro poche ore dalla dipartita) e quelli di pazienti non Covid. Durante la procedura, gli organi respiratori e gli altri tessuti sono stati raccolti e immediatamente congelati. I risultati sono poi stati confrontati con i polmoni di soggetti affetti da altre malattie respiratorie.

Rispetto ai polmoni normali, quelli delle persone con coronavirus presentavano un alto numero di cellule immunitarie, note come macrofagi. Tipicamente esse, durante un'infezione, "masticano" gli agenti patogeni e regolano l'intensità dell'infiammazione. Il Covid provoca un'espansione e un'attivazione incontrollata dei macrofagi, compresi quelli alveolari e quelli derivati dai monociti. Queste cellule, completamente sbilanciate, consentono alla flogosi di aumentare. Ciò si traduce in un circolo vizioso, in cui le cellule immunitarie provocano sempre più infiammazione, con conseguente danneggiamento del tessuto polmonare.

In particolare, i macrofagi producono una citochina infiammatoria, IL-1beta. A differenza di altre citochine come IL-6 che sembra essere universalmente prevalente in varie polmoniti, la produzione di IL-1beta è più pronunciata nel coronavirus rispetto ad altre infezioni polmonari virali e/o batteriche. Questa conclusione è importante, in quanto esistono farmaci che riducono gli effetti di tale citochina, alcuni già in fase di sperimentazione in studi clinici su pazienti Covid. In una tipica infezione, il virus danneggia le cellule polmonari. Il sistema immunitario, tuttavia, elimina il patogeno e i detriti consentento all'organo di rigenerarsi.

Ciò non avviene per il Covid. Il patogeno non solo distrugge le cellule alveolari importanti per lo scambio dei gas, ma l'infiammazione che ne deriva altera anche la capacità delle cellule rimanenti di riportare in salute il polmone danneggiato. Sebbene esso contenga ancora cellule che possono eseguire le riparazioni, la flogosi intrappola permanentemente le stesse in uno stato intermedio, rendendole incapaci di completare gli ultimi passaggi di differenziazione necessari per la sostituzione dell'epitelio polmonare maturo.

Gli scienziati hanno altresì trovato un gran numero di cellule fibroblastiche specifiche, i fibroblasti patologici, che creano cicatrici rapide nei polmoni dei pazienti affetti da coronavirus. Quando esse riempiono il polmone di tessuto cicatriziale (fibrosi), l'organo ha meno spazio per le cellule coinvolte nello scambio di gas danneggiandolo in modo permanente. Considerata l'importanza dei fibroblasti patologici nella malattia, si è ritenuto importante analizzare meglio le cellule per individuare potenziali bersagli farmacologici.

Un algoritmo chiamato VIPER ha così identificato diverse molecole nelle cellule che svolgono un ruolo importante e che potrebbero essere prese di mira da farmaci esistenti.

«La nostra speranza - ha affermato Benjamin Izar, assistente professore di medicina -è che condividento questa analisi e l'enorme risorsa di dati, altri ricercatori e aziende farmaceutiche possano iniziare a testare ed espandere queste idee e trovare trattamenti non solo per curare i pazienti critici, ma anche per ridurre le complicazioni nelle persone che sopravvivono a Covid grave».

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