Salute

Diabete, ora non si fa più insulina

Trapianto tech per curare il diabete: la scoperta di un italiano all'estero

Diabete, ora non si fa più insulina

Passi avanti nella cura del diabete. Un mini organo bioingegnerizzato, al posto del pancreas malato, permette di fare a meno delle iniezioni giornaliere di insulina. Non è l’annuncio di un progetto, c'è già la paziente numero uno. È una donna texana di 43 anni, Wendy Peacock, che ha convissuto con la forma più grave della malattia da quando aveva 17 anni e ora, grazie al nuovo trapianto, fatto il 18 agosto scorso, produce insulina autonomamente. Un successo della medicina firmato da un italiano, Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute e del Cell Transplant Program dell'Università di Miami: fu lui il primo a isolare le cellule che producono insulina (isole pancreatiche) negli anni Novanta e ad avviare i primi trapianti nel fegato per curare il diabete. Ora questa nuova tecnica è destinata a rivoluzionare il modo di fare i trapianti, perchè ha in sé ha tutti i presupposti per risolvere i problemi di rigetto. E, per quanto riguarda il diabete, si sta già rivelando più efficace, rispetto agli interventi precedenti, nel garantire il controllo della glicemia. "Abbiamo ingegnerizzato un mini-organo che imita il pancreas nativo - ha spiegato il professor Ricordi - Partendo dalle isole pancreatiche da donatore (in due millilitri vi sono centinaia di migliaia di isole) e unendole al plasma del paziente, siamo riusciti - iniettando isole e plasma in via laparoscopica e, subito dopo, una soluzione di enzimi - a creare nell'addome un'impalcatura biologica completamente riassorbibile dall'organismo. Non vi è silicone, non vi sono materiali sintetici o estranei al corpo umano, entro due settimane questo substrato biologico che abbiamo chiamato Bio-Hub viene assimilato dal corpo mentre una nuova rete di vasi sanguigni nutre le isole pancreatiche trapiantate". Qual è la differenza fra questa nuova tecnica e i trapianti di isole pancreatiche fatti finora? "I trapianti di isole pancreatiche si sono sempre fatti nel fegato dove nel 50% dei casi l'intervento va a buon fine e il malato non dipende più dall'insulina, nell’altra metà dei casi però le cellule trapiantate non sopravvivono a causa di una reazione infiammatoria.

Per questo, gli studiosi sono impegnati nel ricercare siti del corpo alternativi che possano garantire risultati migliori. In questo caso abbiamo riscontrato la stabilizzazione della glicemia già a poche ore dall'intervento e la paziente ha completamente interrotto le iniezioni di insulina con livelli di glicemia perfettamente normali: sappiamo che è un ottimo risultato". Si potranno curare tutti i malati di diabete? "Al momento, essendo necessari un donatore e la terapia immunosoppressiva per evitare fenomeni di rigetto, ci si concentrerà sui casi più gravi che sono alcune forme di diabete di tipo 1. La paziente texana, a 43 anni, non era più autosufficiente, non si accorgeva dei cali di glicemia e sveniva all'improvviso, anche durante la notte. Avendo un bimbo piccolo era tornata a vivere dai genitori. Ora sta sperimentando una vita normale. Conteremo di fare dai 30 ai 40 pazienti l'anno e ampliare la casistica diffondendo la tecnica a altri centri in Europa, Asia e Nord America ". In che senso la Bio-Hub potrà risolvere i problemi di rigetto? "Abbiamo usato tecniche di ingegneria tissutale per formare la Bio-Hub: è un'impalcatura di sostegno, tutta naturale, che viene poi assorbita. I tessuti del corpo si adattano allo scopo e non vi sono farmaci. Il mini-organo che mima il pancreas nativo non è a contatto con il sangue ma poggia sulla membrana vascolarizzata della cavità addominale, l'omento. Il non essere a contatto col sangue permette di ridurre l'infiammazione che generalmente si osservava quando le isole vengono trapiantate nel fegato o in altri siti dove sono a contatto diretto con il sangue. La Bio-Hub permetterà in un futuro di isolare le cellule donate (sono in corso vari studi su questo) ed evitare il rigetto".

La nuova tecnologia messa a punto a Miami sta riscuotendo l'interesse di alcuni centri internazionali come la University of Alberta a Edmonton in Canada e, in Italia, gli ospedali Niguarda e San Raffaele di Milano oltre all’ISMETT di Palermo. Il direttore del centro trapianti del Niguarda, Luciano De Carlis, ha assistito all'intervento del 18 agosto. "Di trapianti di isole ne sono stati fatti molti e in diversi siti del corpo - ci spiega il diabetologo del Niguarda, Federico Bertuzzi - questo è innovativo e promettente per due motivi. Primo: i livelli della glicemia si sono regolarizzati subito, garantendo alla paziente autonomia dall'insulina. Secondo: la posizione diversa dal fegato e il substrato biologico permettono di 'aggiungere' dell'altro, ad esempio capsule per avvolgere le isole ed evitare il rigetto, cellule e quant'altro.

La Bio-Hub apre a protocolli ambiziosi, tra l'altro alcuni già in corso a Miami".

Commenti