Salute

Distanziamento emotivo, così il Covid ha agito sulla psiche

Lo psicologo e psicoterapeuta Stefano Callipo racconta a IlGiornale.it il vertiginoso aumento dei casi di ansia e depressione causati dalla "paura dell'altro"

Distanziamento emotivo: un altro effetto causato dal coronavirus

Pandemia da coronavirus. È ormai questo l’argomento inserito nell’ordine del giorno della nostra quotidianità da tre anni a questa parte. Una corsa frenetica a seguire le notizie sul rischio di contagio e sugli effetti della malattia, sull’andamento della curva, sulle cure, per non parlare poi delle norme relative a come comportarsi all’interno del contesto sociale.

Questo tipo di informazioni ha preso il primo posto all’interno della routine giornaliera e ha cambiato profondamente il nostro modo di vivere creando, secondo lo psicologo e psicoterapeuta Stefano Callipo, un “distanziamento emotivo”. Callipo è anche presidente dell’Osservatorio Nazionale Violenza e Suicidio, che ha sede in diverse Regioni, e in questi anni si è confrontato con pazienti che hanno avuto diversi problemi di ansia, depressione e stress causati proprio dal modo di vivere imposto dalla pandemia.

Lo psicoterapeuta racconta a IlGiornale.it che in questi ultimi mesi sono aumentati i problemi di ansia e panico causati dalla “paura dell’altro”. Paura che l’atro possa contagiare. Secondo l’analisi di Callipo è come se fossimo diventati numeri, persone prive di anime. E così le relazioni sono diventate fredde perché dettate dal timore di contrarre il virus. «Anche nel rapporto tra medici e pazienti, soprattutto negli ospedali – ci dice lo psicoterapeuta - si è persa l’empatia perché c’è sempre l’allarme dietro l’angolo. Tutto questo sta aumentando il malessere collettivo e le richieste di aiuto agli psicologi». Vediamo cosa sta accadendo in questa intervista che ci ha rilasciato lo specialista.

Lei dice che la pandemia ha creato un "distanziamento emotivo". Di cosa si tratta?

Lo stravolgimento delle nostre regole di vita che dura da circa due anni, così come le nostre insicurezze, le nostre paure, l’infodemia, unitamente ai timori di essere contagiati o di entrare in contatto con un positivo asintomatico, ci stanno cambiando profondamente. Cambiano le nostre relazioni sociali, persino a livello intrafamiliare, la nostra percezione dell’altro e anche del tempo. E spesso senza che ce ne accorgiamo. A volte arriviamo a sentirci più soli pur stando in mezzo alla gente. Tutto ciò genera una forma di malessere generale che a volte si estende su gran parte del nostro piano adattivo. Per non parlare poi di come la vita sia cambiata anche dentro agli ospedali. Ricordo a tal proposito l’ultimo eclatante fatto di cronaca accaduto all'ospedale di Sassari a una donna al quinto mese di gravidanza che poi ha avuto un aborto al vicino parcheggio. Mi chiedo dov’è finito il nostro senso umano, la nostra empatia, la nostra capacità di capire lo stato emotivo dell’altro. Siamo tutti vittime di una trasformazione emotiva che ci sta cambiando, senza saperlo.

Che disagi vivono i suoi pazienti, cosa le raccontano?

Rispondo alla domanda sia nelle vesti di presidente nazionale dell’Osservatorio Violenza e Suicidio, sia di psicologo e psicoterapeuta. Sono in aumento vertiginoso gli stati di ansia, gli attacchi di panico, i problemi del sonno, le alterazioni della regolazione emotiva e, soprattutto, la depressione. Dallo scorso anno ad oggi l’uso di psicofarmaci è aumentato del 20%. Vi è stato anche un vertiginoso aumento delle forme di malessere e di violenza domestica. In questo quadro complesso ciò che mi preoccupa di più sono gli adolescenti: nel Lazio c’è stato un boom di ricoveri di bambini e giovani ragazzi per atti autolesionistici, crisi di ansia ma soprattutto di sintomi depressivi. La Dad, in alcuni casi, può aver fatto il resto, privando a lungo i ragazzi dei luoghi di aggregazione a loro necessari per il delicato momento evolutivo dove il confronto e il gruppo dei pari diventano necessari per lo sviluppo dell’identità, e non solo.

In che modo le notizie martellanti sui dati della contagiosità stanno influendo sul vivere comune?

Il martellamento di dati e numeri a cui siamo da oltre due anni sottoposti – non a caso è stata definita Infodemia – non ci aiuta. Può creare quel senso di paura costante, quel senso di insicurezza pervasivo tale da influenzare il nostro vivere comune. Pessimismo, incapacità di vedere ottimisticamente il futuro, anedonìa – ovvero l’incapacità di provare piacere nel fare le cose- possono essere dei sintomi. Quando ci troviamo in una galleria, il percepire la luce in fondo al tunnel spesso ci infonde quel grado di ottimismo che si trasforma in vera e propria energia per far fronte ai nostri problemi. Dopo oltre due anni di grandi sacrifici – anche economici – sentirsi bombardati da numeri che sembrano non presagire ancora la luce in fondo al tunnel può generare, in specifici casi, senso di impotenza e sintomi depressivi. Ciò che temo è la normalizzazione interiore di tutto questo.

In che misura è aumentata la richiesta di aiuto dei pazienti in questi mesi?

Abbiamo registrato un forte aumento di richieste di aiuto in tal senso, non soltanto personalmente ma soprattutto come Osservatorio, in quasi tutte le regioni d’Italia. Mai come in questo periodo la figura dello psicologo è importante. Ritengo che l’aspetto psicologico dei provvedimenti normativi anti Covid sia stato trascurato. Lo dimostra anche il fallimento del necessario bonus psicologo. Teniamo conto che in Italia circa 3 milioni di persone soffrono di depressione e di questi circa 2 milioni sono donne. Nella stessa realtà italiana ogni anno circa 200 under 24 si tolgono la vita. Servono reali politiche non solo contenitive ma preventive. Il mio punto di vista è che si debba partire proprio dalla prevenzione, in un’ottica biopsicosociale.

A suo parere, come si possono gestire queste paure quando ci assalgono?

Innanzitutto è importante imparare a leggere i sintomi che manifestiamo e a collocarli in un corretto quadro interpretativo. Ma ancor più importante è saper leggere precocemente i segnali di allarme, non soltanto i nostri ma anche quelli dei nostri familiari, dei nostri amici e persino dei nostri conoscenti o colleghi di lavoro. Quando le paure diventano pervasive è importante regolarizzare la nostra vita con impegni che ci facciano evadere da questa realtà emotigena. In tal senso sono utili, per fare degli esempi, l’attività fisica, lo yoga, coltivare hobby, investire e mantenere le relazioni sociali. Se i sintomi persistono è importante contattare un professionista che possa aiutarci a raggiungere un equilibrio di miglioramento. Vede, non dobbiamo considerare la psicoterapia soltanto come cura, ma considerarla – cosi come nel mondo anglosassone – anche come promozione del nostro benessere mentale.

Come si può recuperare l'empatia fra le persone?

L’uomo ha un bisogno naturale di empatizzare. È importante coltivare le relazioni sociali, eliminare i rapporti tossici, vivere relazioni sane. Questo può aiutarci a ridefinire la qualità delle relazioni stesse, e a proteggerci emotivamente. Nelle emergenze sociali l’uomo tende a diventare più individualista, la nostra società sta diventando troppo veloce, dicotomica ovvero del ‘tutto o subito’, del tutto bianco o tutto nero, senza accorgersi delle innumerevoli sfumature di cui siamo circondati. Fermiamoci ad ascoltare l’altro, a conoscere i suoi stati emotivi. Quante volte chiediamo all’altro cosa fa, ma non come sta? Ecco, riappropriarci dei nostri tempi, distaccarci dalla velocità infodemica, dai numeri, dai dati e creare dei nostri spazi può essere un primo passo. Vorrei dare, in conclusione un consiglio: vacciniamoci.

Così ci proteggiamo anche fisicamente.

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