Coronavirus

La verità sui contagi dell'estate: tutto quello che nessuno dice

Nei giorni in cui i contagi tornano a salire i media italiani vanno allo schianto cavalcando paure irrazionali e facendo paragoni fuorvianti.

La verità sui contagi dell'estate: tutto quello che nessuno dice

I media italiani si stanno nuovamente schiantando sul coronavirus: il rischio di un'ondata di "infodemia" è più che contreto. Risulta problematico capire come, a fronte di un moderato aumento dei contagi da coronavirus nel contesto di un aumento della capacità di ricerca e di una crescita dei tamponi quotidiani (ormai attestati mediamente su quota 45-50mila) nei media si richiami sempre, ossessivamente, al paragone con i morti sui camion militari o con le durissime giornate di marzo. Paragone problematico e fuorviante, specie considerata la drammaticità degli accadimenti andati in scena a inizio primavera nelle aree più colpite dal Covid-19.

Nel dubbio sembrano non esistere i miglioramenti del processo di tracciamento, la maggior conoscenza clinica del virus, l'aumento delle procedure di confinamento dei focolai, la migliore gestione dei casi importati e, come ci ricorda Il Sole 24 Ore, il fatto che "l’età mediana dei casi totali nell’ultimo mese è 37 anni (65 a inizio epidemia) comporta una drastica riduzione dei casi severi e critici: dal 30% di marzo-aprile siamo all’8-10%. Forziamo la mano ai numeri: con la dinamica attuale, molto sbilanciata verso le fasce più giovani, anche se tornassimo ad avere un numero di casi analogo a quello della scorsa Primavera avremmo una pressione 3-4 volte inferiore sul sistema ospedaliero". Nulla da sottovalutare, ma i paragoni con il recente passato sono decisamente da riconsiderare.

Nella prima fase della pandemia i media italiani non hanno dato buona prova, passando in maniera rapsodica dalla sottovalutazione all'isteria, facendosi amplificatori e non stabilizzatori delle elevate tensioni sociali accumulatesi mano a mano che il virus avanzava, alimentando il clima di insicurezza e sospetto che si è risolto nella ricerca di "untori", capri espiatori, responsabili. "Quando c'è di mezzo un'epidemia la comunicazione assume velocità diverse rispetto a una più tradizionale tragedia", scriveva Formiche con lucidità a fine febbraio, quando ancora la batosta di marzo non era immaginabile. "Ciò ingenera un alto livello di preoccupazione che può sfociare in panico e allarme sociale": la pandemia ha lasciato dietro di sè strascichi problematici sul profilo psicologico e sociale, e con il virus ancora in circolazione i media nazionali e la politica dovrebbero venire a patti con la necessità di una comunicazione più equilibrata e diretta a stimolare la responsabilità dei cittadini nel contesto di un quadro che è decisamente mutato rispetto ai mesi scorsi.

Ritornare ad affrontare la pandemia con isteria e disorganizzazione sarebbe un disastro, in vista dell'autunno: e i media, dopo aver perso i mesi più importanti inseguendo vacuità (il paziente zero, la carica virale dei runner, la pericolosità dei fedeli, l'improbabile indignazione per gli aperitivi post confinamento), dimenticando a lungo di indagare sullo scandalo dei malati nelle RSA, sui prezzi folli dei tamponi, sulle conseguenze di decenni di massacro alla sanità, ora ritornano alla carica. Si titola "weekend col morbo", come ha fatto Il Fatto Quotidiano alla vigilia di Ferragosto, generando panico e apprensione, si sceglie di cavalcare la paura e non altri, più nobili sentimenti che andrebbero mobilitati proprio ora. Il perfetto corrispondente dell'atteggiamento tenuto su altri temi, dove al discorso serio e ragionato sulla crescente emergenza sociale, economica, educazionale si preferisce il discorso sui presunti furbetti del bonus. I media guardano il dito e non la luna, nel contesto di una battaglia epocale e di mesi cruciali per il futuro del Paese inseguono fuochi fatui.

E si perde la possibilità di un dibattito serio e ragionato.

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