Salute

Tumori, la rabbia dei pazienti è un grave ostacolo per la cura

Uno studio ha messo in risalto le conseguenze negative della rabbia dei pazienti oncologici nelle terapie antitumorali. È difficile ma non bisogna reprimerla ed è fondamentale la figura dello psiconcologo

Tumori, la rabbia dei pazienti è un grave ostacolo per la cura

Se è vero che la medicina fa passi da gigante nella cura contro i tumori, una ricerca ha messo in luce un aspetto controproducente nelle battaglie dei malati: la rabbia, con conseguenze negative che si ripercuotono anche sulle terapie che perdono di efficacia.

Uno studio svolto presso il Day-Hospital (DH) Oncologico dell'Istituto Dermopatico dell’IDI di Roma con la collaborazione della Fondazione per la medicina personalizzata (Fmp), ha rivelato che un paziente con tumore prova tanta rabbia cercando di controllarla il più possibile ed esprimendola poco.

La rabbia non va repressa

Come riporta un articolo di Repubblica.it, le conseguenze sul percorso di cura sono inevitabili. “Come è emerso dall'indagine - spiega Paolo Marchetti, presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata e professore ordinario di Oncologia Medica dell’Università La Sapienza di Roma, - la rabbia crea una situazione di disagio molto spesso associata ad una forma di depressione che, se da un lato si ripercuote sul rapporto interpersonale tra il paziente e il medico, dall’altro può determinare anche una minore capacità di aderire ai percorsi di cura".

Marchetti spiega come questo sentimento possa amplificare i danni della malattia. "Per esempio, il paziente prova fastidio nel dover fare determinati esami o non riesce a tollerare gli effetti collaterali delle terapie. Questo atteggiamento negativo nei confronti della malattia interferisce con il modo di rapportarsi alle terapie e, spesso, si è costretti a interrompere le cure".

Cosa fare, allora? “Il consiglio - afferma Marchetti - è avere sempre come riferimento la figura dello psiconcologo che deve seguire il paziente per far sì che un disagio, derivante dalla diagnosi della malattia o dai sintomi associati ad essa o alle terapie, non si trasformi in un ostacolo nel percorso terapeutico”.

L'auspicio per tutti i pazienti, sebbene sia molto difficile, è di imparare a controllarla. "È necessario gestire la rabbia ed impedire che diventi un ostacolo nell’affrontare la malattia. Se, infatti, la rabbia non viene gestita, si trasforma in frustrazione e, in alcuni casi, in depressione che diventa un amplificatore importante non solo della sintomatologia della malattia, ma anche di quella delle terapie. Così, il paziente accetta con una difficoltà sempre maggiore le terapie che gli vengono proposte".

L'indagine sui pazienti

Lo studio ha interessato circa 300 pazienti equamente divisi tra uomini e donne (età media 64 anni), che hanno risposto a tre questionari con l'obiettivo di misurare rabbia, ansia, depressione, la qualità di vita e la percezione che il paziente ha della gravità e della curabilità della sua malattia oncologica.

In generale, la maggior parte dei pazienti prova questo sentimento ma il controllo è elevato: la rabbia non è espressa in alcun modo. Questo sentimento è risultato strettamente associato ad alti livelli di ansia e depressione e, in questo caso, si sono osservate situazioni differenti tra donne e uomini: mentre le prime reprimevano completamente la rabbia a livello comportamentale, gli uomini, invece, mostravano un controllo inesistente e questo aveva un forte impatto negativo sulla loro qualità di vita.

Trasformare la rabbia in energia positiva

La rabbia non va repressa, ma bisogna incanalarla nella giusta direzione affinché diventi una risorsa per affrontare con determinazione un percorso difficile, come quello della malattia oncologica. “Viviamo nell’età della rabbia, in una società che genera stimoli continui e frustrazioni, dove i criteri sono quelli del successo, del benessere, dell’essere in forma” - afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli - Una diagnosi di tumore, inevitabilmente, ci porta di fronte alla percezione della morte. Le reazioni possono essere diverse: c’è la negazione della malattia, la depressione intesa come ritiro dall’esistenza, l’angoscia e, infine, la rabbia. Quest’ultima - precisa Andreoli - è una reazione vitale, una rivolta: si vuole combattere il nemico. Per questo, non dobbiamo considerarla un sintomo negativo ma fare in modo che questo accumulo di energia sia gestito in senso positivo, in modo da creare un’alleanza ed una sintonia con il medico.

In questo percorso, lo psiconcologo riveste un ruolo indispensabile”.

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