I n Europa è sempre stata importante la razionalità. Lo era già nella Grecia antica dove è sorta la filosofia, e poi è continuata con lo sviluppo della scienza sperimentale. È stato questo tipo di pensiero che ha generato il progresso europeo degli ultimi secoli. I Paesi emergenti quali Giappone, Cina, India non avevano la nostra tradizione ma si sono impossessati del metodo scientifico e della tecnologia e hanno realizzato un vertiginoso sviluppo economico. Le nazioni europee non hanno saputo reagire, e oggi sono dominate dalla sfiducia e dal pessimismo.
L' Europa era orgogliosa della sua filosofia, della sua scienza e dei suoi studiosi. Oggi non più. Provate a domandare il nome di alcuni grandi filosofi o scienziati viventi. Non ve li sanno dire. Gli scienziati non sono più un modello ideale.
Negli ultimi decenni ha prevalso una pedagogia che non insegna lo sforzo e l'impegno intellettuale ma una amichevole socializzazione. In molti licei e in numerose università spesso il bravo studente non risponde alle domande del professore per timore di essere poi discriminato dai compagni che non vogliono che emerga. Spesso è nelle scuole elementari che si distrugge la meritocrazia. E nelle scuole medie lo studente non viene stimolato a diventare uno studioso, uno scienziato, un tecnico di valore. Quanto alla televisione, poi, come modelli da imitare presenta solo personaggi dello spettacolo o campioni sportivi e nei talk show, al contrario della scienza in cui c'è chi sa e chi non sa, tutte le «opinioni » vengono messe sullo stesso piano.
Ma se vogliamo evitare la decadenza e l'immiserimento del nostro Paese dobbiamo competere sul mercato internazionale e, per riuscirci dobbiamo rimettere al primo posto la mentalità scientifica che, in Italia, si sposerà alla fantasia e alla genialità propria del nostro popolo. Gli ultimi anni di scuola media superiore o i primi delle università dovrebbero essere in parte trasformati in scuole tecniche che preparano gli studenti a un lavoro richiesto nel mondo globalizzato, con accordi con le imprese e italiane e internazionali. Non basta l'apprendistato, occorre un sapere che arricchisce l'impresa. Poi bisogna eliminare le lauree brevi che servono solo a fabbricare disoccupati, e favorire in tutti i modi la ricerca applicata avanzata, anche reclutando ricercatori dall'estero, invece di mandare in cattedra i figli dei baroni universitari.
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