SALVATORES «Kamikazen indimenticabili»

«Tornerei in teatro se avessi progetti validi: ma ora sono più libero con la macchina da presa»

Igor Principe

Per molti fu un felice esordio collettivo. E a chi non lo ricordi, basta scorrere un po' del cast: Gigio Alberti, Antonio Catania, Claudio Bisio, Giovanni (quello del trio con Aldo e Giacomo), Paolo Rossi, Diego Abatantuono. Dietro la macchina da presa, per la prima volta, Gabriele Salvatores. Kamikazen, ultima notte a Milano era il titolo del film, uscito nel 1987. Cioè nel pieno di un'epoca in cui la città brulicava di paninari che, al cinema, preferivano Rocky V o Nove settimane e mezzo.
Chi l'abbia perso allora può rimediare stasera, andando allo Spazio Oberdan per seguire Serata Comedians, appuntamento organizzato dalla Cineteca Italiana e dai dioscuri di Zelig - Gino & Michele - nell'ambito della rassegna Comicoberdan. Kamikazen verrà proiettato alle 21, mentre alle 17.30 sarà la volta di L'ultima battuta, semisconosciuta pellicola realizzata nell'88 da David Seltzer, con un Tom Hanks e una Meg Ryan d'antan.
Molte le analogie tra i due film. Ma soprattutto, molte le analogie di entrambi con una pièce teatrale datata 1985, scritta da Trevor Griffiths e targata Teatro dell'Elfo: Comedians. È da lì che Salvatores - stasera in sala per dialogare con il pubblico - parte per inanellare pensieri in una catena che lega passato e futuro.
«Per ricreare la stessa compagnia oggi dovrei passare giornate al telefono tra agenti e avvocati - scherza -. Ciò non ne fa un'esperienza irripetibile. Oggi i talenti non mancano, ma forse la società si è un po' seduta e c'è meno fermento. Per un artista, invece, è importante che i suoi contemporanei esprimano sogni da catturare per trasformarli in arte».
Quali erano i sogni della Milano di Kamikazen?
«Quelli di una città in forte mutazione, anche per merito della politica. Adesso il confronto è tra due schieramenti, allora c'era più pluralismo. E anche più contraddizioni. Ciò alimentava in un giovane attore o in un giovane regista un'urgenza di esprimersi che oggi è più sopita».
Fu quell'urgenza a farle lasciare il teatro per il cinema?
«Devo premettere una cosa: io l'Elfo non l'ho mai lasciato, ne sono ancora socio. Loro sono la mia famiglia, sono le persone che vedo quando sto a Milano. Ma a un certo punto avevo voglia di fare qualcosa di nuovo. Così ho scelto il cinema, che sento come il mio vero amore. A distanza di anni, mi pare che il teatro sia stato un modo, bello e appassionante, per avvicinarmi alla macchina da presa».
Cos’è questo amore?
«Forse nel riuscire a raccontare più storie a più persone. O nell'essere il cinema la vera casa del regista. Il teatro è soprattutto l'attore, da sempre: per farlo bastano lui e il pubblico. Il cinema è invece il racconto della realtà messa dentro un quadratino in base a ciò che vuole il regista. Inoltre, ti permette risultati notevoli. Non credo che a teatro avrei potuto inscenare Io non ho paura, obbligando due ragazzini (protagonisti del film, ndr) a decine di repliche».
Prima ha parlato di fermento. È reduce da dieci giorni a Shangai: c'è fermento, lì?
«Difficile giudicare un Paese straordinario e complesso come la Cina in dieci giorni. Certo, l'entusiasmo non manca. Ma credo siano anche troppo proiettati verso il futuro. Shangai è esemplare: bella e scioccante. Sembra la città di Blade Runner».
Quanto al suo, di futuro?
«Sto lavorando a una sceneggiatura con Umberto Contarello, già autore di Marrakech Express. È un film di avventura ambientato su una nave mercantile, di quelle che stanno sempre nelle acque internazionali ma che alimentano il 50 per cento del mercato globale. È una produzione italiana, anche se girato in inglese».


Niente ritorni al teatro, quindi?
«Qualche volta ci ho pensato, ma servono tempo e progetti validi. Se sarà, comunque, non potrà che essere il Teatro dell'Elfo».
Kamikazen Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, ore 21, info 02-77406300, ingresso 5 euro

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