Salvi: «Tanti errori clamorosi qui si pensa solo alle nomine»

L’esponente Ds: «In ritardo le dimissioni di Rovati, Prodi sarebbe dovuto andare subito in Parlamento. Finora ci si è occupati troppo degli organigrammi»

Roberto Scafuri

da Roma

Presidente Cesare Salvi, il governo è roso da un male oscuro.
«Diciamo che alla difficoltà dei numeri s’è aggiunta la palese mancanza di una mission».
Una mission?
«Sì, nel ’96 era chiaro: si dovevano fare sacrifici per agguantare l’Europa, l’euro...».
E ora?
«Ora tutto sta a capire qual è la nostra mission».
Purché non sia «impossible»... L’altro giorno lei ha sbottato: «Questi qui credono ancora di aver vinto le elezioni». Dà ragione a Berlusconi?
«Era una battuta priva di importanza, testimonia solo il disagio di chi vive quotidianamente, in Senato, il problema di una vittoria inferiore alle attese. Non abbiamo introiettato il risultato elettorale, né ci siamo interrogati sul suo significato. Perché abbiamo perduto il vantaggio in pochi mesi? Come dobbiamo reagire? La prima parte della legislatura è stata largamente occupata da nomine e organigrammi, e mi pare che ancora la maggioranza stenti a capire bene quali siano compiti e funzioni...».
Molti segnali arrivano dai lavori parlamentari: l’altroieri lei ha parlato di «deficienti, dilettanti allo sbaraglio...».
«Termini propri di uno sfogo... Però credo che una professionalità della politica occorra, il lavoro parlamentare è cruciale, mentre molti pensano di stare qui solo per fare due battute al Tg della sera. Non capisco perché qualcuno dei nostri ancora snobbi il lavoro in commissione, così da farci andare sotto, come l’altro giorno nella Affari costituzionali. Prenda anche la sospensione della riforma della giustizia: si è partiti con la promessa di un decreto legge per il quale non c’erano le condizioni istituzionali...».
E poi?
«...Poi, per ragioni misteriose, si è deciso che il provvedimento partisse dal Senato invece che dalla Camera, dove avremmo impresso una buona accelerazione all’iter...».
E quindi?
«Quindi, dopo aver ascoltato il guardasigilli Mastella l’altro giorno con il condivisibile impianto della sua relazione, non si capisce perché il governo abbia scelto in commissione una logica di chiusura totale nei confronti della Cdl».
Cosa non le torna?
«Che due dei tre decreti di cui si chiede la sospensione richiedono emendamenti non rilevanti, sui quali si sarebbe potuto cercare subito un’intesa con l’opposizione».
Immagino che sulla separazione delle carriere, invece...
«Sul tema dell’accesso alla carriera, invece, non nego che sia inutile girarci intorno: va eliminato del tutto. Anche se mi associo alla linea di ragionevolezza indicata dal ministro. Credo che il primo problema della giustizia sia la depoliticizzazione, ed è inutile riaprire polemiche aspre su un tema avvelenato, esplosivo come quello...».
Torniamo al male oscuro e al voto dell’altro giorno.
«Abbiamo perso tempo e inasprito inutilmente il clima...».
Beh, l’affare Telecom non è proprio una quisquilia.
«Dico che questi nostri capi potevano pensarci prima...».
In che senso, scusi?
«Mi limito a dire che la gestione del caso è sembrata a tutti clamorosamente sbagliata, anche se è inutile fare la lezioncina adesso...».
Lo dica senza prosopopea.
«Bastava fare sette giorni prima quello che si è fatto sette giorni dopo e non avremmo avuto il marasma. Bertinotti ha fatto una saggia opera di mediazione, e proprio perché credo fino in fondo alla versione di Prodi, credo che sarebbe stato giusto da subito far dimettere il collaboratore ingenuo e venire in aula a chiudere il caso. Quando il Parlamento chiama, il governo risponde».
Ma c’è dell’altro, in questa tensione che scuote l’Unione.
«Sì, è apparso che chi tiene le fila della maggioranza non abbia coesione. Si è avuta la netta impressione che non ci sia dialogo tra settori della nostra leadership. Il clima di sospetti non aiuta: occorre darsi subito una registrata, visto che la Finanziaria già non è facile...».
Si parla di Prodi e D’Alema, ma forse c’entra anche il Partito democratico. O no?
«Certo che c’entra. Chiaramente si scontrano due mentalità diverse, c’è una forzatura nei confronti di due partiti diversi che non hanno neppure chiari i motivi del contendere, perché una discussione aperta neppure c’è stata. C’è il forte rischio che il Partito democratico diventi il contenitore dentro il quale si verificano scontri oligarchici e di potere».
Un anno fa Prodi e Parisi attaccarono la Quercia per la commistione tra politica e interessi economici. Su Telecom qualcuno oggi tira fuori i sassolini dalle scarpe?
«Finché non ci sarà una chiara definizione delle regole e dei criteri del rapporto politica-economia questo confronto non farà bene a nessuno...».
Come uomo di sinistra non dovrebbe parteggiare per un ritorno di Telecom allo Stato?
«Non voglio entrare nel merito, però la cosa peggiore è la confusione. E al momento non si capisce che cosa ci sia dietro a tutta questa storia».
Fu la prima privatizzazione e, vedendo il risultato...
«Quando Telecom fu privatizzata magari ci fu un difetto di regole nella fase iniziale, ma non dimentichiamo che a quella scelta contribuirono l’urgenza di far cassa, l’ondata liberista... e anche la necessità impellente di togliere le mani dei partiti dalla cosa pubblica».
Invadenza pericolosa.
«Certe degenerazioni dell’intervento pubblico, come fu per parte della storia dell’Iri, indeboliscono le ragioni della sinistra. Perciò penso che occorra decidere trasparentemente che cosa e come lasciare al pubblico e che cosa e come ai privati.

Altrimenti, come oggi, avremo sempre privati che praticano un capitalismo senza capitali e partiti che tentano di occupare il potere attraverso l’economia. Però devo dire che la depenalizzazione del falso in bilancio, fatta dal governo precedente, non è stata certo un segnale positivo, per dare trasparenza al sistema societario...».

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