Samuel L. Jackson, il cattivo diventa buono

Giffoni Valle PianaOrgoglio nero. Dopo Denzel Washington nei panni di Malcom X nell’omonimo film di Spike Lee e Morgan Freeman in quelli di Nelson Mandela in Invictus di Clint Eastwood, anche Samuel L. Jackson, ospite d’onore al Giffoni Film Festival dove s’è presentato in pantaloncini corti come i ragazzi che popolano la manifestazione, ha rivelato di sognare d’essere Martin Luther King. Ma non al cinema, bensì a Broadway, ossia a teatro, luogo ancora più glamour come detta l’ultima moda delle star di Hollywood: «Ho letto un copione, The Mountaintop (della scrittrice e sceneggiatrice Katori Hall, ndr), che mi è piaciuto tantissimo anche perché racconta un momento molto particolare della vita di Luther King, l’ultima notte - sospesa tra i presagi - al Motel Lorraine prima dell’assassinio. Non so però ancora quando lo porteremo sul palco».
Samuel Leroy Jackson, che a dicembre spegnerà 62 candeline e dal 1980 è sposato con la stessa donna (un record, a Hollywood), è uno degli attori più richiesti, anche se sono lontani i tempi gloriosi di Jungle Fever di Spike Lee o del temibile sicario filosofo in Pulp Fiction di Quentin Tarantino che gli valse una candidatura agli Oscar. I tempi sono cambiati, le major puntano molto sulle fortunate serie fumettare e l’attore afroamericano s’adegua firmando con la Marvel un contratto che lo vedrà nei panni dell’agente segreto ed eroe dell’esercito Nick Fury in ben nove produzioni. Un personaggio trasversale che, dopo essere entrato nei titoli di coda di Iron Man e poi nel recente sequel, comparirà nelle prossime attese trasposizioni da Captain America a The Avengers («I Vendicatori») che vedremo nel prossimo biennio: «Il pubblico - dice Jackson - ama sempre più i supereroi, li accoglie con entusiasmo. Non ci sarò nel prossimo Iron Man perché Robert Downey Jr. riesce a reggere benissimo da solo l’intero film, ma sono curioso di vedere, oltre che Captain America, come andrà The Avengers. Spero che avrà il riscontro che merita perché il progetto è fantastico».
La carriera di Samuel L. Jackson, che da piccolo voleva fare l’oceanografo e che ora scandaglia tutti i ruoli possibili al cinema, è sempre stata così, divisa tra il cinema d’autore e quello più commerciale, consentendogli, in 68 apparizioni, di far incassare ai suoi film la bellezza di 8 miliardi di dollari, entrando così nel Guinness dei Primati. «Spike Lee e Quentin Tarantino - spiega - hanno segnato i passi fondamentali della mia carriera. Con loro quando si gira c’è come un’unione consensuale. Però è curioso che sia diventato famoso agli occhi del pubblico solo con i film di cassetta». Ma l’interprete degli ultimi tre episodi di Guerre Stellari non rinnega nulla del suo passato che, anzi, giustifica anche il suo presente: «Spesso mi piace scegliere di girare un film che avrei desiderato vedere da ragazzo il sabato pomeriggio al cinema con gli amici mangiando pop corn. In qualche modo così torno bambino».
Tuttavia si sente lontano dai miti cinematografici di oggi: «Il problema è che non li conosco. Una volta in aereo ero al fianco di Kristen Stewart (la protagonista di Twilight, ndr) e mia figlia mi dava dei colpi di gomito ma io niente, proprio non riuscivo a capire chi fosse. Ora vedo che piacciono molto i vampiri e si fanno solo film per ragazzini e addio a quelli con tematiche adulte».

Le minoranze etniche non c’entrano, anzi: «La strada è ancora lunga, ma certo noi che al cinema eravamo marginali, sempre cattivi o delinquenti, sembra che ora con Obama siamo diventati presidenti anche dell’universo. Il parterre per fortuna s’è ampliato e la scena afroamericana è molto più importante di molti anni fa. Ma il vero problema è che oggi si raccontano solo storie facili».

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