San Marco, la rivincita del Frascati

Andrea Cuomo

Questa volta parliamo di Frascati. Vino romano per antonomasia, un po’ sbiadito da decenni di scarsa cura, ma pur sempre di gloriosa storia, grazie anche al fatto che gli antichi Romani sulle loro mense ne facevano largo uso, accanto al Falerno, al Cecubo, al Sorrentino. Le prime e più autorevoli norme regolanti la coltivazione delle vigne e la vinificazione delle uve che il mondo occidentale ricordi furono stese, più di 2000 anni fa, proprio da un console romano nativo di Tuscolo: Marco Porzio Catone. E poi nella gloria del Frascati c’è anche lo zampino dei Papi, in particolare di Paolo III (1534-1549), che prima di accedere al seggio di San Pietro era stato vescovo di Frascati, e lo impose sulle mense pontificie sostituendolo al vino francese introdotto da Urbano V.
In questo glorioso panorama, fedele alla tradizione pur non disdegnando le gioie della modernità, operano le Cantine San Marco. Il nome dell’azienda, molto nota anche all’estero, deriva dal colle al centro del comprensorio di produzione del Frascati doc. I terreni di origine vulcanica e il clima mite e con modeste precipitazioni sono ottimi viatici per una produzione di qualità, che l’azienda persegue rifuggendo però da qualsiasi estremismo.
La batteria dei vini San Marco conta una decina di etichette. I Frascati fanno la parte del leone, naturalmente. In prima linea il Frascati Superiore De’ Notari, «cru» prodotta nei terreni migliori con uve Malvasia del Lazio (50 per cento), Malvasia di Candia (15), Bellone (20) e Trebbiano Toscano (15): sapido e più elegante della media della tipologia. Seguono il Superiore Meraco, il tradizionale Cannellino, dolce ma con moderazione, e la versione Spumante, da vendemmia anticipata.

C’è poi la serie dei «Solo», vini monovitigno: i bianchi Solosauvignon (assai incoraggiante) e Solochardonnay e i rossi Solomerlot e Soloshiraz, che alcuni critici considerano la punta qualitativa dell’azienda. Resta da dire dell’altro rosso aziendale, il Meraco Rosso, blend di uve Sangiovese (50 per cento), Cesanese (30) e Cabernet Sauvignon (20), cui una buona frequentazione del legno dona struttura e austerità.

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