nostro inviato a Verona
La sanità italiana è incorniciata alle spalle del professor Claudio Cordiano, fondatore (e presidente fino a pochi giorni fa) del Collegio italiano dei chirurghi (Cic). È una riproduzione della Torre di Babele del Bruegel appesa nel suo studio di direttore della prima Chirurgia clinicizzata dell'ospedale Maggiore di Verona. La Babele della politica sanitaria. Il sito del ministero di Livia Turco pubblicizza una campagna sulle novità della Finanziaria scaricando su medici e farmacisti la colpa della malasanità in Italia. Il Cic, che raggruppa 44 società scientifiche di chirurgia con oltre 40mila medici, ha comprato una pagina di Repubblica per protestare. Ma non è stato facile far pubblicare la lettera aperta, che è stata tenuta ferma una settimana ed è uscita solo dopo il via libera del comitato di redazione.
«È troppo - sbotta Cordiano - la politica nomina i manager della sanità, gli dà poteri assoluti e poi addossa a noi ogni responsabilità. Noi respingiamo l'attacco che tende ad attribuirci tutti i disservizi che invece sono strutturali. Ai medici è stata tolta ogni possibilità di gestire risorse umane e materiali negli ospedali; l'ultima Finanziaria ci ha sottratto anche il giudizio di qualità sugli acquisti di attrezzature medicali. Poi scoppiano gli scandali come quello del policlinico di Roma e il direttore Ubaldo Montaguti, un manager che la giunta regionale di centrosinistra ha prelevato dall'ospedale di Ferrara, getta sui medici il sospetto del traffico di cornee. Una supposizione inverosimile e già smentita».
I chirurghi italiani avevano incrociato le spade con il governo già qualche settimana prima che scoppiasse la baraonda dell'Umberto I. La lettera firmata dal Cic e dal Tribunale del malato protestava contro la Finanziaria che rendeva il prezzo l'unico criterio con cui valutare gli acquisti di dispositivi medici. «La scelta del massimo ribasso provoca evidenti rischi», scrivevano Cordiano e Teresa Petrangolini a nome delle rispettive organizzazioni: calo di qualità e di sicurezza, perdita di competenze, ruolo svilito delle industrie biomedicali cui si deve un grande lavoro di ricerca e un contributo decisivo per le nuove apparecchiature terapeutiche.
Per lo stesso motivo, pochi giorni prima Farmindustria e Assiobiomedica avevano bloccato le attività congressuali e di aggiornamento per i chirurghi: «L'aggiornamento per noi è un obbligo e l'intervento delle aziende è indispensabile perché lo Stato non ha soldi», sottolinea Cordiano. Ma né il premier Prodi né il ministro Turco, destinatari della missiva, si sono degnati di rispondere ai chirurghi italiani.
«Affidare la gestione della sanità a manager non è del tutto sbagliato - osserva Cordiano - ma essi hanno un legame eccessivo con la politica. Se si guarda il colore delle giunte regionali che fanno le nomine, dall'Emilia alla Lombardia, si vede con quale parte è funzionale la politica delle aziende sanitarie. L'eccezione è il Veneto: il pragmatismo di queste parti ha prodotto negli anni 60-70 la migliore sanità d'Italia e il minor pressing politico. Siamo liberi da queste volgarità. Ma altrove è la politica a decidere il numero di primari, di posti letto, di garze. E anche di ospedali inutili».
Oltre al cordone ombelicale con la politica, l'altro grande male della sanità italiana è «leconomicismo, l'ideologia presente nella gestione della salute». «Oggi si pensa soltanto a ridurre le spese di gestione, contingentare i tempi degli interventi, comprimere i costi umani.
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