Fabrizio De Feo
da Roma
Il colpo è di quelli pesanti da assorbire. Ma i primari prendono fiato, rialzano la testa e passano al contrattacco. La parola dordine è: fermare il disegno di legge del ministro della Salute, Livia Turco, e il nuovo attacco alle professioni sferrato dal governo Prodi. Un provvedimento ancora in via di definizione che in autunno potrebbe obbligare i circa 10mila primari e capi dipartimento italiani a lasciare la libera professione per lavorare in rapporto esclusivo con il servizio sanitario nazionale.
Il piano della titolare della Salute prevede un «aut aut», una scelta secca tra attività privata e lavoro ospedaliero, pena la perdita della qualifica. La scelta dovrebbe mantenere un carattere «reversibile» ed essere periodicamente ricontrattabile. Anche su questo punto, però, ci sarà una stretta: i medici interessati avranno la possibilità di modificare la propria scelta a ogni scadenza del contratto (in genere 5 anni) anziché ogni anno come avviene oggi. Attualmente la legislazione non impone una scelta di campo tra i due settori ma prevede un incentivo (oscillante tra gli 800 e i 1.400 euro) per chi si orienta verso il rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale. Chi opta per il pubblico può visitare pazienti in regime di «intramoenia», ovvero con lospedale che fornisce stanze e apparecchiature. Questa opzione, però, non è mai completamente decollata, tantè che i medici pubblici lavorano anche negli studi privati in virtù della cosiddetta «intramoenia allargata» appena abolita con il decreto Bersani.
Il cambiamento, insomma, è pesante. E il giudizio dei camici bianchi sulla proposta Turco è complessivamente negativo. Qualcuno la reputa accettabile, a condizione che lintramoenia venga resa davvero operativa. Altri prefigurano una fuga di massa verso il privato. Il più duro è il presidente dei medici ospedalieri, Stefano Biasioli. «Il ministro - spiega - aveva promesso che avrebbe scritto il ddl insieme ai sindacati medici: se è così perché questo annuncio agostano che sicuramente non favorisce liter del provvedimento?». «A ogni buon conto - continua Biasioli - lincompatibilità dovrà essere oggetto almeno di un confronto e non frutto di un decreto. Se decreto legge sarà la Turco cadrà come è successo nel 99 alla Bindi».
Sul fronte politico è lo stesso ministro, intervenendo al Tg3, a ribadire la linea dura. «Nessuna guerra contro i primari ma cè la volontà di rafforzare un indirizzo già scelto dal 95% dei medici italiani che va a potenziare la sanità pubblica, i diritti dei cittadini e la professione dei medici. Vogliamo che i medici contino di più dentro la gestione della sanità». La Cdl, però, non ci sta e attacca duramente il ministro. Per Alfredo Biondi il ministro impone il «primariato di Stato». Fabrizio Cicchitto promette che a settembre il «lirresponsabile linea politica della Turco» diventerà oggetto di dibattito in Parlamento. Entra nel merito laltro azzurro, Lucio Malan. «Il ddl contro i primari è un atto puramente ideologico che danneggerà utenti e medici bravi e non darà vantaggi a nessuno, tranne forse a qualche medico con tessera Cgil, che prenderà il posto di medici che se ne andranno dagli ospedali. Naturalmente la Cgil cita come precedente il fatto che il 95% dei primari continuò a lavorare negli ospedali pubblici nonostante la legge Bindi. Il fatto è che ciò avvenne grazie a norme di buon senso che consentirono lintramoenia allargato, che rende milioni di euro alla sanità pubblica. Ma quelle norme intelligenti sono state cancellate nello sciagurato decreto Visco-Bersani». NellUnione il presidente-chirurgo della commissione Sanità del Senato, Ignazio Marino, si schiera con il ministro. «Chi ha funzione apicale deve essere dedicato per intero alla struttura sanitaria per cui lavora» sostiene. Ma lUdeur si mette di traverso.
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